Rai. Amministratore delegato dai tanti e sconfinati poteri, esegesi di una burla

Rai. Amministratore delegato dai tanti e sconfinati poteri, esegesi di una burla
Rai. Amministratore delegato dai tanti e sconfinati poteri, esegesi di una burla

ROMA – Secondo Aldo Fontanarosa di Repubblica, da un po’ di tempo esegeta di Luigi Gubitosi, direttore generale uscente della Rai, il futuro amministratore delegato della Rai “nominerà in perfetta solitudine tutte le figure chiave della tv di Stato. Inclusi i direttori dei telegiornali. Avrà libertà di spesa fino alla somma, assai forte, di 10 milioni di euro”.

[E qui c’è già da ridire, se si pensa a quanto costano i programmi della Rai, milioni di euro per ogni ora di trasmissione]

“Il disegno di legge di riforma della Rai precisa i super-poteri del manager che guiderà la nuova tv di Stato. Un manager che – per la prima volta a Viale Mazzini – non sarà più un direttore generale, ma avrà i gradi di amministratore delegato.

[Si tratta della stessa cosa, visto che anche il direttore generale era nominato dal consiglio su proposta dell’azionista unico].

L’ad di Viale Mazzini «nominerà i dirigenti apicali della Rai, sentito il consiglio di amministrazione ». Proprio così: sentito, c’è scritto. I consiglieri della televisione pubblica – che oggi decidono ogni nomina con il loro voto – nel nuovo assetto esprimeranno al massimo un parere che vale meno di zero.

[Ma come si fa a scrivere di queste cose? Se il consigliere delegato sente il consiglio d’amministrazione e non gli dà retta, cosa fanno i consiglieri, abbozzano? Non si può ignorare che il consiglio può “in ogni momento” revocargli le deleghe, col limite che anche loro devono sentire l’assemblea, che poi in ultima istanza è il Governo che a sua volta può revocarli a piacere.
In questa catena di sentimenti, che qualcuno si metta di traverso è inverosimile, proprio come è accaduto all’eroico Luigi Gubitosi, che proclamava il suo fastidio per le domande della commissione parlamentare di vigilanza ma poi nominava chi gli dicevano i partiti].

Aldo Fontanarosa si spinge in una interpretazione autentica della legge che non trova riscontro nelle parole del ddl e nemmeno nella prassi dei giornali, come le vicende in corso al Corriere della Sera illustrano. Spiega Aldo Fontanarosa che “dirigenti apicali” sono “i manager di prima fascia, i direttori delle reti televisive” e fin qui è giusto ma poi anche “gli stessi direttori dei telegiornali, alla luce del Contratto nazionale di lavoro giornalistico”. E questo lo dice lui, si vedrà.

Chi nomina questo supermanager? si chiede Aldo Fontanarosa, “Chi sceglierà l’ad dai tanti e sconfinati poteri?”. Sembra di sentire un imbonitore che decanta gli sconfinati poteri del nuovo frullatore che fa anche la pasta. E udite udite

“Su questo punto, il disegno di legge fa un piccolo passo indietro. La nomina non arriverà direttamente dal governo, come si immaginava alla vigilia. Il nome verrà proposto dai soci proprietari della nostra televisione pubblica (leggi: il ministero dell’Economia), ma dovrà ottenere anche il via libera del Consiglio di amministrazione (a sua volta scelto dal Parlamento per 4 dei suoi sette componenti)”.

Aldo Fontanarosa non spiega da quando il ministero dell’economia non fa parte del Governo. Nel ricordato caso della nomina di Alfredo Meocci, la Corte dei Conti considerò il ruolo del ministero come di mero passacarte, al punto che sparando milioni di multe a tutti quelli coinvolti nel processo, esonerò il ministro allora in carica che contava come un fattorino portatore della volontà di Berlusconi.

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