Rassegne stampa, giornali e Fini libertario con i soldi altrui

ROMA – Quel che si legge in questi giorni sulle rassegne stampa, mallopponi di carta fatti di fotocopie integrali di articoli, dà la misura di quanto poco i giornalisti capiscano di giornali, perché non si può pensare il peggio, quanto poco gli stiano a cuore gli interessi dei loro giornali. E dà anche un’idea di come la smania di piacere ai giornalisti accechi certi politici anche in cariche istituzionali di rilievo, tanto per non far nomi il presidente della Camera Ginfranco Fini.

Non tutti per fortuna la pensano come lui. La buona notizia è che la Presidenza del Consiglio ha oscurato la sua rassegna stampa online su richiesta della Fieg. Lo aveva denunciato Il Cicalino, blog di indiscrezioni dal Palazzo, e poi è arrivata la conferma ufficiale sotto forma di avviso sul sito di Palazzo Chigi: “A seguito di specifica richiesta, avanzata dalle associazioni degli editori, dal 10 aprile la rassegna stampa quotidiana non è più accessibile all’esterno della rete della presidenza del Consiglio. Per i dipendenti della presidenza del Consiglio il servizio è disponibile sulla rete Intranet”. Non basta, perché i dipendenti della Presidenza sono più di 4 mila ed è facile calcolare quante vendite di copie di quotidiano siano andate perdute. Ma è già un primo passo, il minimo da parte di un Governo che non è certo sembrato più attento verso i giornali di quanto non lo siano stati né Berlusconi né D’Alema (quest’ultimo, in linea con Berlusconi, aveva addirittura esortato a non leggere più i giornali).

Uno può anche dire che così i comuni cittadini non potranno più visionare liberamente e gratuitamente on line la rassegna dei pezzi dei principali giornali italiani relative alle istituzioni, dovranno comprarsi una mazzetta di dieci giornali al giorno…In realtà ne basterebbe anche uno solo di giornale: ma se si riflette e si pensa che le notizie non nascono sull’albero degli zecchini d’oro, ma costano soldi e tanti, allora come si possono sostenere tesi così velleitarie quanto irrealistiche?

La storia non è nuova, perché le rassegne stampa da anni devastano le vendite dei giornali: ogni grande azienda o ente pubblico ha un suo ufficio stampa (e per le medie e piccole ci sono servizi comuni offerti da strutture specializzate) che di buon’ora al mattino ritaglia quanti più giornali si può e li trasforma in decine o centinaia di fotocopie. Alcune deputati sensibili ai problemi dei giornali, tra i quali Giuseppe Giulietti, avevano anche predisposto una norma che, imponendo una tassa sulle fotocopie, avrebbe convogliato in un fondo della Siae un indennizzo almeno parziale.

Tutto morì in uno dei tanti misteri dell’ex Pci, in cui militava qualcuno che aveva interessi opposti e più influenza di Giulietti. La tassa sulle fotocopie sfumò per sempre e basta.

Con lo sviluppo di internet la situazione si è fatta ancor più grave, perché bastava andare su uno dei siti intestati alla Repubblica italiana e si leggeva non solo quanto era di stretto interesse per ministri e parlamentari, ma anche cronaca nera e varietà.

Finalmente è arrivata una lettera datata 16 marzo 2012 e firmata da Fieg, Uspi, Anes, Mediacoop e Fisc, indirizzata a tutti “i responsabili dei siti web delle pubbliche amministrazioni”, con la richiesta di sospensione “nella modalità liberamente accessibile al pubblico, della pubblicazione in internet di articoli e/o dispacci di giornali e agenzie rappresentate della scriventi associazioni editoriali”, perché le pagine della rassegna “diventano così un vero e proprio sito di informazione digitale, autonomo e concorrente rispetto alle sue stesse fonti”.

Sempre meglio di niente, perché il problema sta a  monte, nei milioni di pagine di fotocopie, che tra l’altro costano ben più delle decine di migliaia di copie di giornale apparentemente risparmiate, delle rassegne stampa di carta che si fanno ogni mattina in Italia e che sono ormai diventate una specie di status symbol.

Ma non è così per tutti e diversi personaggi della politica e dell’informazione si sono schierati contro. Uno è stato, come detto, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che su Twitter ha scritto: “La rassegna online è un servizio offerto gratuitamente ai cittadini e che garantisce un effettivo pluralismo dell’informazione. Personalmente non vedo perché nell’era di internet la rassegna debba essere oscurata”. Peccato che lo faccia con i soldi degli altri, come i suoi album fotografici: la rassegna sarà gratuita, ma se si informa un po’ scopre che i giornalisti che scrivono gli articoli fotocopiati non lavorano gratis. E nemmeno i rotativisti che stampano i giornali.

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