Razzismo fra fisiologia e patologia. Non ci deve sorprendere che gli italiani siano diventati razzisti in modo patologico, la prova generale c’era stata in Piemonte negli anni del boom economico degli anni ’50 e ’60, solo che le vittime erano italiani e che la crescita del benessere, il boom appunto, aveva anestetizzato il trauma.
Concludo con queste note le riflessioni cui mi ha indotto l’ultimo libro di Ezio Mauro, “L’uomo bianco”, che prende spunto dalla vicenda di Luca Traini, lo sparatore di neri a Macerata, provando a dare una interpretazione delle cause della derivata razzista che ha trascinato l’Italia.
L’Italia è stata terra di conquista e di mescolanza razziale per decine di migliaia di anni. Solo nell’ultimo millennio le cose si sono stabilizzate, da noi come in Europa. Con una differenza: che gli ex sudditi (i tedeschi solo a metà a dire il vero) dell’Impero romano si sono trasformati in dominatori e gli italiani in sudditi. Con l’ondata migratoria dell’ultimo trentennio, il ruolo degli italiani è ancora cambiato, almeno in parte. Quelli del Nord Europa ci guardano sempre come degli inferiori (potrei scriverci un libro, citerò solo il pensiero di Paul Barras, uno dei protagonisti della Rivoluzione francese, quello che mise in orbita Napoleone e poi fu da lui messo in un angolo. A proposito del grande generale francese André Massena, nato Andrea da genitori piemontesi, nato come Garibaldi nella allora italiana Nizza, Barras disse: “Coraggioso, audace ma bestia, ladro e ipocrita come un italiano”) ma ora abbiamo la nostra rivincita, abbiamo anche noi qualcuno da guardare dall’alto in basso, con una gerarchia di colori di pelle che permettono anche i distinguo che rendono meno brutale la pronuncia razzista.
Ecco: quel “volgo disperso”… “repente si desta”, proprio come vaticinò Manzoni. Ma lui si riferiva alla rivolta contro i dominatori stranieri, non alla oppressione dei poveri lavoratori e immigrati extracomunitari. Falliti per secoli nella prima impresa, stiamo riuscendo egregiamente nella seconda.
Siamo davvero così malvagi come i casi che spuntano ogni giorno sui giornali e sui siti ci indurrebbero a pensare? E se lo siamo, né più buoni né più cattivi dei nostri fratelli esseri umani (anche il razzismo e la crudeltà non sono monopolio di una razza o di un colore. Seguite un po’ le cronache dall’Africa e aggiornatevi su cosa sono capaci di fare i neri agli altri neri di razze e tribù diverse. E le pulizie etniche dei cinesi dove le mettete?) quali sono le cause che ci hanno portato a tanto?
Quale è la causa che ha trasformato il virus in tumore maligno? Dobbiamo riconoscere che è tutta colpa nostra.
Se vogliamo essere sinceri con noi stessi, non ci dovremmo sorprendere più di tanto. Un Paese che ha mandato due generazioni a morire in guerra per un piatto di lenticchie era capace di ben altro. La seconda Guerra Mondiale è stata affrontata scientemente mandando allo sbaraglio milioni di ragazzi senza armi adeguate, scarpe di cartone per la neve russa, senza rifornimenti e munizioni sufficienti. Facile dire: era colpa di Mussolini e del Fascismo. Mussolini era un giornalista furbacchione. Avrebbe insistito nei suoi folli propositi guerreschi se una dozzina fra generali e ammiragli gli avesse detto quello che hanno detto e scritto dopo? Rischiavano il carcere? il confino? Alla fine hanno avuto ragione loro, nessuno ha pagato, anzi, in onore del principale colpevole hanno anche cambiato nome al paese natio.
Con queste premesse, come ci si può meravigliare dell’improvvisazione, per usare un eufemismo, della approssimazione, della mancanza di programmazione e di visione che hanno caratterizzato quella che Scalfari, intervistando Gianni Agnelli, definì “migrazione biblica”. Con più di 5 milioni di persone non nate in Italia che vivono e lavorano in Italia, molti ormai anche cittadini italiani, siamo a dimensioni che Mosé non avrebbe mai immaginato.
Le colpe di oggi sono ben più gravi di quelle di ieri. Alla classe politica che guidava l’Italia nel dopoguerra, centro, sinistra e destra tutti assieme, si può riconoscere l’attenuante della sorpresa. L’Italia usciva da vent’anni di regime fascista a crescita zero, quella dei 20 milioni di baionette perché non c’erano i fucili, della battaglia del grano perché non avevamo i soldi per importarlo, era l’Italia proletaria e fascista (o fasista, come lui romagnolo diceva). Che ne sapevano i nuovi dirigenti cresciuti nella retorica del Guf di cosa potesse essere un Paese destinato a diventare la sesta potenza industriale del mondo. Emigrati in America, vivevano nei ghetti degli italiani, emigrati a Mosca, avevano da pensare a non finire nel gulag, altro che capire quel che di buono c’era nel titanico processo di industrializzazione imposto da Stalin.
L’Italia di Mussolini seguiva peraltro una Italietta abbastanza scalcinata, prigioniera di miti, vittima di tragici errori da parte degli unificatori piemontesi. Consiglio di leggere o rileggere “L’economia italiana dal 1861 al 1894” di Gino Luzzatto se volete capire gli errori, le colpe, le balordaggini, incluse scusanti e attenuanti, commessi dalla classe dirigente post unitaria. Ci sono le premesse ai guai del Ventennio e anche ai mali di oggi.
All’alba del ventunesimo secolo le cose erano messe molto diversamente. Il processo di immigrazione non è stato frutto di un big bang, si è sviluppato in modo graduale, prima con i polacchi ai tempi del Papa polacco che per primi inaugurarono il business del lavaggio dei vetri ai semafori. Ma i polacchi volevano emigrare in America, andare nella mecca dei cattolici slavi, a Chicago. Caduto il comunismo, nell’89, sono arrivati i romeni, i più oggi stabilmente inseriti, grandi lavoratori, l’edilizia si sarebbe fermata senza di loro. Sono forse la più grande comunità non indigena oggi in Italia.
E via via fino agli sbarchi. La prima ondata di sbarchi fu coeva con gli arrivi dalla Romania. Ma una cosa sono gli africani, una cosa romeni e albanesi. La lingua romena è latino più puro dell’italiano, con gli albanesi fummo anche uniti sotto la stessa corona dei Savoia, dal ’39 al ’43, meno di un lustro ma in fondo eravamo quasi fratelli. C’è da secoli una colonia albanese in Calabria, parlano un italiano ancor meno accentato dei romeni. Certo anche gli albanesi hanno mostrato e mostrano una forte propensione al crimine, non solo in Italia. Pare che a Londra controllino una parte importante del mercato della droga. Ma non è che la criminalità sia prerogativa degli immigrati, anche gli indigeni sono criminali. E in una economia sempre più sviluppata c’è posto per tutti. Non è che in Germania o in Francia o in Inghilterra non ci siano criminali locali, che gli indigeni francesi tedeschi inglesi come gli indigeni italiani non abusino delle donne e dei deboli. È che i nuovi arrivati sono più disponibili e pronti ai ruoli più biechi, un po’ come nella vita pulita, solo che invece di fare i camerieri, i muratori o le badanti rapinano e spacciano.
Inutile rifiutare la realtà, sbagliano i cattivisti e i buonisti. Certo polemizzare è meglio che lavorare, però aggrava il danno. Sarebbe preferibile, ma costa molta più fatica, mettere in atto robuste misure di prevenzione, non a parole ma nei fatti, con idonee soluzioni organizzative, che passano per il controllo delle forze dell’ordine e dello Stato, implicano di non rinunciare mai alla dignità del lavoro, obbligano a un grande sforzo di programmazione. Non parole ma opere di bene. Per l’apparato statale italiano, degenerato e improvvisato poi in quello regionale, non federalismo ma implosione, è probabilmente una mission impossible, ma se non si imbocca quella strada, i rischi diventano molto alti. (C’è anche la via alternativa di portare investimenti dove hanno origine i flussi migratori, ma è spesso difficile andare oltre le mazzette, dove c’è instabilità e guerre).
Solo così si può evitare, camminando sulla displuviale della differenza fra fisiologia di una componente ereditaria e la sua patologia, si scivoli in una deviazione che fa rima con odio sociale, odio del diverso, caccia alle streghe, fuoco agli eretici, dagli all’untore.
I nostri adorabili politici sono figli ideali di quelli che hanno rovinato l’Italia dell’unità, che hanno detto sempre sì al Duce, non sono stati capaci di prevedere e gestire il passaggio dell’Italia dal terzo al quarto mondo. Anzi quelli del Movimento 5 stelle sono anche peggio dei loro avi. Vogliono tornare indietro, a un’era pre industriale che non era felice talvolta anche per i ricchi, con le regine che morivano a 20 anni di setticemia post parto e milioni di morti per la peste non nei secoli bui del Medioevo, ma in coincidenza con l’inizio del Rinascimento (Boccaccio) e poi ancora nel ‘600, l’ultima occasione in cui l’Italia dominò l’economia europea.
Fossero meno trinariciuti e bigotti, destra e sinistra sempre uguali nel peggio, si farebbero tradurre i giornali tedeschi per capire che questo inizio di millennio richiede un approccio radicalmente diverso alla gestione dei flussi migratori. I tedeschi (dell’Ovest) hanno dimostrato nel dopoguerra di sapere assorbire e gestire senza eccessivi traumi una ondata migratoria da Italia e Turchia che sostituì le deportazioni forzate di lavoratori da tutta Europa per le loro fabbriche e fu alla base del miracolo tedesco post bellico.
In questi ultimi anni le cose sono cambiate anche da loro. Al punto che c’è caduta la pluriennale leadership di Angela Merkel. Cambiata è l’economia, cambiata è la percezione dell’immigrato. Italiani e turchi non saranno biondi e con gli occhi celesti, ma in fondo anche Hitler aveva capelli e occhi neri. Il momento di rottura è stato il Capodanno di Colonia, al punto che qualcuno si interroga sulla effettiva portata delle intemperanze dei profughi. Un po’ come i topolini che Goebbels usava per seminare il panico durante i comizi della sinistra.
La turbolenza tedesca deve fare riflettere. Non credo loro abbiano il problema del conflitto di interesse delle Cooperative e della Chiesa, hanno solo gli interessi della più forte economia europea. S’è rotto un meccanismo che girava da 70 anni. E per capire non bastano i tweet e i post su fb.
Cercare di capire, fare presto ad agire. L’uomo bianco è in pericolo per la sua insipienza, la sua cecità e anche il suo egoismo.
Quarto articolo di 4 sul tema del razzismo. Per leggere i precedenti:
Razzismo, il caso Traini, le radici del nuovo male italiano: Ezio Mauro ne fa un capolavoro di giornalismo cliccare qui.
Razzismo, è colpa di Salvini o gli italiani lo sono sempre stati? Cosa è cambiato da quando eravamo colonia austriaca cliccare qui
Razzismo, italiani a metà fra il mito del razzista buono e la patologia di Luca Traini. Di chi è la colpa? cliccare qui