Romano Prodi Presidente: Pd suicidio, Italia ok

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Prodi in vista del traguardo sul Quirinale?

Se Romano Prodi diventerà Presidente della Repubblica, cosa che è ancora tutta da vedere, sotto molti aspetti sarà un fatto positivo: ha esperienza di governo, essendo stato per due volte primo ministro, ha esperienza internazionale, essendo stato presidente della commissione europea. Appartiene alla stessa razza degli Olli Rehn e Angela Merkel, rispetto ai quali appare certamente ancor più omogeneo di Mario Monti.

Il fatto che abbia mollato l’Europa con un anno di anticipo per rientrar nei giochi politici in Italia, cosa che viene vista fuori d’Italia come indice di poca fede europea non dovrebbe pesare sulla cordialità con cui lo accoglieranno negli stati membri, perché pensano che si tratti di un vizietto italiano con cui si deve convivere (ancora ci rinfacciano il precedente di un grande democristiano, Franco Maria Malfatti). In Cina, con cui Prodi ha avuto il merito, tra pochi, di coltivare i rapporti in questi anni, lo vedono certamente con maggiore simpatia di tanti altri, a cominciar da Berlusconi, che due o tre volte cancellò un viaggio ufficiale forse perché bunga bunga premebat.

Non c’e dubbio, d’altra parte , che, dopo le forzature impresse da Giorgio Napolitano alla Costituzione nell’allargamento dei poteri del Presidente della Repubblica, al Quirinale ci debba andare qualcuno che non abbia come retroterra solo demagogia e salotti, anche se intrisi di cultura leguleia, ma che conosca intimamente come funzionano la macchina dello Stato e le regole della politica. Fu proprio questa modesta se non nulla conoscenza alla base del fallimento di Mario Monti e del suo infelice Governo, perché li rese ostaggio oltre il dovuto della vera casta che soffoca l’Italia, quella dei burocrati.

Dal punto di vista del Pd, il Partito democratico, c’è pero da dubitare che si tratti di una mossa azzeccata.

Sul piano tattico, l’idea che uno dei nomi già marchiati da Beppe Grillo diventi il candidato del Pd appare un errore che il Pd sconterà per lungo tempo, in quanto costituisce prova di sudditanza culturale psicologica politica verso il vero grande avversario del Pd, che è proprio Beppe Grillo.

Mentre la sinistra politica e giornalistica si accanivano contro il grande satana Berlusconi, la rappresentanza della sinistra reale, quella dei precari, dei mille euro, dei descamisados veniva sottratta a salotti e giornali e fatta propria proprio da Beppe Grillo. Il Pd non dovrebbe cercar di allearcisi, ma di sottrargli terreno e rappresentanza.

La nomina di Prodi, se avverrà, costituirà per il Pd anche un altro inconveniente, sul piano elettorale.

Romano Prodi e un po’ più giovane di Franco Marini: 74 anni contro 80 e sotto questo profilo non sembra rispondere alle aspettative della scalpitante generazione che viaggia sui 40 anni e sperimenta la prima delle ripetute crisi esistenziali che tormentano i maschi nel mezzo del cammin di nostra vita.

Risulta, da testimonianze, che alle ultime elezioni 2013 elettori del Pd siano confluiti su Beppe Grillo proprio dopo avere visto il faccione di Prodi sul palco dell’ultimo comizio dl Pd a Milano.

Per molti giovani e meno giovani Prodi è il vecchio che ritorna, è il disastro della cattiva gestione dell’ingresso nell’Euro che ha reso più poveri proprio i ceti medi impiegatizi e di piccolo risparmio.

Anche a cavallo del 1920, si legge nei libri di storia, il ceto medio impiegatizio e di piccola rendita finanziaria fu travolto dalla crisi post prima guerra mondiale e si buttò nella braccia del fascismo.

Oggi che non ci sono più i vecchi riferimenti ideologici a tenere salde le distinzioni tra sinistra e non sinistra, la crisi del Pd rischia di spingere le classi più in difficoltà, al limite o dentro la disperazione, nella braccia di un nuovo fascismo, che già si preannuncia nella autarchia del ritorno alla lira e che ha i contorni del Movimento 5 stelle, della barba di Grillo e gli occhialetti di Casaleggio, il suo Goebbels con in più la vocazione del burattinaio.

Tutto questo sulle ceneri del Pd come lo hanno ridotto Pier Luigi Bersani e i suoi giovani quadri post comintern.

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