Il “No way australiano di Salvini: cioè, affitti un’isola e ci deporti tutti i migranti

Il "No way australiano di Salvini: cioè, affitti un'isola e ci deporti tutti i migranti
Il “No way australiano di Salvini: cioè, affitti un’isola e ci deporti tutti i migranti

ROMA – “Il mio obiettivo è il ‘No way’ australiano. Nessun migrante soccorso in mare mette piede in Australia”. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Lo ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in un’intervista a Rtl, intervenuto in merito alla questione della nave Diciotti e il suo carico di 177 anime, alleggerito ieri della trentina di minori fatti sbarcare a Catania.

Gli altri no, “non scende nessuno”, ribadisce Salvini che non molla nonostante o forse proprio a causa di varie procure che cominciano a sospettare la violazione dei diritti elementari concessi agli umani in attesa che il codice penale si arricchisca di un comma australiano.

Non è la prima volta che si invoca il modello australiano, oggi declinato nell’anglosassone “no way”. Sembra un rilancio, guarda caso ogni volta che l’intransigente strategia salviniana si scontra con i fatti, le procedure, il diritto e gli uomini in carne e ossa, insomma con la realtà e non con la sua proiezione. E come funghi iniziano a spuntare i tanti se e gli inevitabili ma.

“Affittiamo un’isola e mettiamoci immigrati, rom e centri sociali”, dichiarava il Matteo Salvini di lotta tre anni fa. Sintetizzando, è la via australiana alla protezione ermetica delle frontiere, inaugurata nel 2013 dall’allora governo conservatore alle prese con la drammatica escalation degli sbarchi e delle tragedie in mare dei cosiddetti “boat people”, profughi e cercatori di fortuna dell’immenso serbatoio asiatico.

La soluzione pratica fu l’affitto di alcune isole della Papua Nuova Guinea dove concentrare tutti i clandestini in attesa della verifica dei requisiti per la richiesta dei diritti d’asilo. Come è andata? Le frontiere sono meno permeabili, ma gestione e efficacia dei centri di detenzione a Nauru, Manus, Christmas, isole sperdute nell’Oceano Pacifico, si sono rivelati non solo in contrasto con le leggi e le convenzioni, ma anche un salasso. E un boomerang.

Qui i migranti intrappolati sono giunti a cucirsi la bocca con il filo per sensibilizzare il mondo esterno, qualcuno si è immolato dandosi fuoco, tentativi di suicidio e mutilazioni auto-inflitte sono all’ordine del giorno: segregati, tenuti come condizioni intollerabili, la Corte Suprema di Papua l’anno scorso ha deciso di risarcire i quasi duemila “ospiti” dell’isola di Manus con 70 milioni di dollari.

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