Eugenio Scalfari ha scritto un nuovo libro, intitolato “L’amore, la sfida, il destino“, pubblicato da Einaudi.
Sono le riflessioni di un uomo alla soglia dei 90 anni: sono pensieri limpidi, sereni, con la tensione dell’adolescenza. Pochi arrivano a quella età, pochi comunque, anche prima, non si fanno sopraffare dalla amarezza che accompagna il declino.
Repubblica ne ha riportato uno stralcio, che ha accompagnato con un commento di Franco Marcoaldi che offre alcune coordinate.
Eugenio Scalfari, scrive Franco Marcoaldi,
“torna all’antico maestro e modello della sua ricerca interiore – iniziata poco meno di vent’anni fa con “Incontro con Io” – chiudendo idealmente il cerchio di quell’itinerario. Le conseguenze legate a una scrittura così intima, personale, sono molteplici, ma due in particolare balzano all’occhio. Se Scalfari parte dalla propria esistenza, è perché gli pare il modo migliore di corrispondere a una precisa convinzione: il pensiero procede spedito soltanto se si appoggia a una esperienza incarnata. E sempre di qui discende anche la seconda, decisiva conseguenza: una volta intrapresa tale strada, perde automaticamente di significato ogni trattazione sistematica della realtà, visto che la vita vissuta, con il suo inevitabile carico di inciampi, è per sua natura labirintica,disordinata, contraddittoria”.
Qual è il problema di Scalfari, si chiede Franco Marcoaldi. La risposta è nella
“ricerca di senso, che, se ha contraddistinto l’intera modernità occidentale, non è affatto scontata in un mondo come quello attuale, in cui l’alea della “sensazione”, la soddisfazione provvisoria del desiderio immediato, sembrano aver surclassato la più lenta e metodica “riflessione”. Una riflessione, beninteso, che ha assoluto bisogno di riscaldarsi con le ragioni del cuore, come vide perfettamente Robert Musil negli anni Trenta del secolo scorso: «Noi non abbiamo troppo intelletto e troppa poca anima, ma troppo poco intelletto nelle cose dell’anima»”.
“Seguendo questa ideale stella polare, Scalfari utilizza materiali e personaggi i più diversi: dai giganti della mitologia e della religione (Ulisse come Gesù, Atena come Gea) per arrivare alle figure capitali della sua esistenza (bellissime, in particolare, le pagine dedicate al nonno calabrese, per più di un versodoppio arcaico dell’autore)”.
“Al tavolo da gioco cui l’autore ci invita siedono Edipo, Narciso e il Caso, capaci di condizionare in mille modi il mutevole Io, che volente o nolente, in modo più o meno consapevole, punta una dopo l’altra le sue fiches contro un avversario imbattibile: la Morte. Se Madama Morte guida la danza, a distribuire le carte della partita è sempre e immancabilmente Eros (il desiderio, la forza vitale), a cui tiene bordone Narciso, senza la cui robusta presenza il povero Io sarebbe in balia degli eventi e finirebbe per afflosciarsi su se stesso, in preda alla peggiore tristitia.Ma Narciso, a sua volta, deve essere tenuto a bada, pena lo sconfinamento nella pura egolatria; nella più fatua e infantile vanità; in una smodatezza e dismisura che finirebbero per accecarlo, impedendogli di nutrirsi dell’imprescindibile linfa vitale rappresentata dall’altro, che offre e reclama ascolto e attenzione”.
E veniamo a Scalfari:
“Quando guardo il cielo nelle notti di agosto il primo segno che distinguo è il timone ricurvo del Gran Carro, poi la doppia V di Cassiopea e a poca distanza la fulgida stella che indica il Nord ai naviganti. Poca distanza per il mio sguardo ma distanze immense nel cielo stellato. A me piace la parola curvatura applicata all’essere. All’universo. All’orizzonte. Alle parallele che si congiungono all’infinito. Un profeta scrisse che l’infinito era l’eterno ritorno dell’eguale”.
[…]
“Tutti quelli che se ne intendevano sostenevano che il problema della curvatura dell’essere era stato risolto a patto che venisse coniugato con la gravitazione universale, non semplicemente dall’alto verso il basso ma in tutte le direzioni e in tutte le dimensioni. In realtà si dovrebbe parlare di attrazione e non di gravitazione.
“Questa legge funziona anche per le persone, anzi soprattutto per le persone. Sono attratte da altre persone ma anche da oggetti, animali, panorami, natura, progetti. L’orgia esercita attrazione. Il ritiro in un convento di clausura esercita attrazione, il bene e il male, la sudditanza e la trasgressione.
“Ora sono vecchio, i miei novant’anni sono a portata di mano e i cento occhieggiano sullo sfondo semmai ci arriverò con mente sana. Io sono di quelli che non hanno mai tentato di escludere la mente dal circuito della loro vita, ma andando avanti nell’esperienza mi sono accorto che la maggior parte delle persone ha messo la mente da parte e vive di emozioni, che poi faticosamente cerca di razionalizzare a fatti già avvenuti e a decisioni già prese.
[…]
“Col progredire delle tecnologie, la mente è stata sempre più accantonata e ad essa è stato riservato un solo compito: la furbizia. Non la conoscenza, non l’elaborazione dei sentimenti e non la sapienza e la saggezza. Niente di tutto questo, ma unicamente la furbizia, inventando i modi per ingannare il prossimo e garantirsi un vantaggio.
“La mia vita è stata assai diversa. Non dico che fosse migliore, forse il senso rattrappito prepara uno scenario del tutto nuovo. Forse bisogna distruggere tutto perché si chiude un’epoca e noi che ci viviamo ancora dentro non percepiamo il crollo continuo di ciò che abbiamo ricevuto in eredità e che il tempo ha consunto e sta riducendo in rovine”.
[…]
“Oggi domina la vanità, ma è un’altra cosa, una cosa futile, un trastullo infantile. Infatti la nostra è diventata una società infantile con poche speranze ed è questa la grande contraddizione che sempre ritorna quando il senso si è nascosto da qualche parte e l’ansia e l’affanno aumentano con la sua latitanza. L’animale pensante che noi siamo non può vivere senza che il suo transito terrestre abbia un senso. L’esistenza del divino, anzi del sacro e dei suoi impenetrabili misteri, del fato che governa ogni nostro passo e deresponsabilizza ogni nostra azione; tutta questa immensa architettura mentale, che ha trasformato ogni scimmia pensante in un artista creatore, serve a soddisfare il nostro irruente, prepotente, indomabile istinto di sopravvivenza, soddisfatto soltanto dal senso che gli diamo”.
[…]
“Ed è l’amore che sorregge la nostra esistenza in tutte le sue pieghe, alimenta i desideri, scatena il furore delle passioni e la dolce tenerezza degli affetti. L’amore dispensa con larghezza il senso della vita.
“Il signore degli dei non è lo Zeus dell’Olimpo né Brahma, né Rama, né Iside, né lo Yahweh del Sinai, né Allah senza nome e senza volto, ma Eros e la sua infinita potenza che coincide con la vita in tutte le sue forme, le sue specie e gli individui che la compongono. Non è un dio e non trascende la vita perché è immanente alla vita”.
[…]
Eros ci dona
“uno specchio in cui guardarsi; l’amore per un’anima che ti conforta, un corpo che vuoi possedere, la cupidigia del comando, il fascino della seduzione, la malinconia dell’abbandono.
“E l’addio alla vita che è l’estremo atto d’amore di Eros quando ti chiude gli occhi e ti abbandona solo dopo il tuo ultimo respiro”.
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