Al termine del processo, numeri e proporzioni fra le classi sociali oggi sono molto diversi dal passato ma alla fine la vecchia divisione è tornata a imporsi: da una parte la massa dall’altra le elites.
Una strada tentata dalla sinistra fu quella di abbattere le vecchie classi dominanti, appiattendo tutti. Tre quarti di secolo di socialismo più o meno reale nell’est europeo hanno avuto come apoteosi il 1989.
Un trentennio di più o meno socialismo in Italia ci hanno portato alla Meloni premier.
La rivoluzione americana ha funzionato meglio, agendo su due linee: la ricchezza e l’istruzione.
Un sistema di borse di studio ha trasformato masse di figli di immigrati in tecnici e professionisti che hanno costituito e costituiscono la struttura portante della società e della economia americane.
Credo fermamente che questa della formazione e educazione sia la strada che la sinistra deve seguire.
Dare ai figli dei poveri le stesse potenzialità dei figli dei ricchi: l’istruzione, il senso del dovere e la fede nel poter migliorare sono le leve.
Dei miei compagni di scuola, nei primi vent’anni dopo la guerra, i figli dei ricchi (o benestanti o borghesi come preferite) se la sono sempre cavata, per quanto asini fossero. La maggior parte dei figli dei poveri restavano poveri o finivano in carcere.
Per me stesso, oltre allo studio in cui nessuno mi ha aiutato, avere frequentato le famiglie dei miei compagni asinelli, per aiutarli nei compiti, mi ha aperto visioni e orizzonti più di una università.
Non che tutto si esaurisca in un corso di formazione. Dove sono andati gli effetti delle 150 ore mitizzate negli anni ‘70?
Lo sforzo di redistribuzione della ricchezza avviato negli anni ‘60 in Italia ci ha portato alla attuale condizione di diffuso benessere.
Ancora un dieci per cento di noi ne è escluso, dice l’Istat un po’ tanto politicizzato. Alla fine della guerra e della monarchia e all’inizio della Repubblica la proporzione era inversa.
Ora però forse le riserve da redistribuire sono esaurite o quasi. Così i partiti di sinistra Pd e M5S inventano battaglie come il salario minimo che non sembrano andare oltre lo slogan da voti. Uno si chiede: il Pd è stato dentro o attorno al governo negli ultimi 30 anni, perché non ci hanno pensato prima?
Mi dice un vecchio militante: la Schlein se ci pensi è stato un film dell’orrore: premarxista, pauperista, un po’ luddista, in un tempo virtuale si colloca prima della prima internazionale, e nel 2023 guida uno dei maggiori partiti della sinistra europea. Il salario minimo è una follia che porterebbe tutte le aziende in crisi a uscire dalle associazioni datoriali, disdettare i CCNL e applicare il salario minimo. Quale norma lo impedirebbe? Nessuna.
Più preoccupante ai fini del progresso dell’Italia e dei suoi cittadini più deboli, immigrati inclusi, è la strada dei diritti, affascinante, quasi evangelica sul piano della morale e del sentimento, ma gravida di rischi quando il sublime diritto fa svanire il più umile senso del dovere.
Il fenomeno non è esclusivo italiano ma da noi siamo al massimo.
Già una trentina d’anni fa un mio compianto amico vero puro e duro comunista mi confidò questa riflessione: Temo che il mio partito sia andato un po’ troppo in là con questa storia dei diritti.
Simbolo di questa pericolosa deriva appare oggi un libro appena uscito, Futura umanità. Storia della sinistra raccontata ai miei figli di Andrea Romano.
Il titolo del libro è piatto, quasi da cronaca. Allarmante è però il titolo con cui lo presenta Repubblica, porta bandiera dei diritti: Sinistra è tutelare i diritti. Tutti.
C’è tanta Schlein in questo. Almeno Conte e i suoi grillini vanno al sodo: il reddito di cittadinanza è il sogno di tanti di noi, vivere senza dover lavorare.
Inseguendo i voti di minoranze rumorose dov’è andrà il fu Pci? Farà la fine degli omologhi inglese e francese?
Certa è una cosa: continuerà a regalare voti a Lega e post fascisti. In fondo i loro progenitori erano comunisti vestiti di nero.