Sinistra in crisi? raccoglie i risultati di mezzo secolo di promesse mancate, iniziato con l’impossibile questione morale e culminato nel reddito di cittadinanza.
Per quasi mezzo secolo un terzo degli italiani ha votato i partiti che la esprimono. Poi poco a poco si sono allontanati. Me lo predisse un ambulante a Genova (meglio di un sondaggista) 10 anni fa. Lo ho sempre pensato per mezzo secolo, dal loro ‘68. Non mi sento profeta della vera sinistra ma non riconosco neppure, come depositari della verità, quei figli di ricchi che l’hanno occupata. Saccenti, arroganti fanatici.
Fa impressione rileggere, quasi 20 anni dopo, I Sinistrati, libro del 2006 di Claudio Rinaldi, impietosa analisi della “odissea”, e degli errori, di d’Alema, Prodi & C. (rabbrividisco al ricordo della esclusione della Turchia dall’Europa voluta da Prodi)
Come tanti eventi della storia, l’ascesa e declino della sinistra ha forma di parabola.
La fase ascendente coincide con la crescita del pil, conseguenza imprevedibile delle scelte di una generazione di grandi in cui giganteggia Palmiro Togliatti. Un po’ costretto dagli accordi di Yalta un po’ per seguire una strada in aperto contrasto con il volere dei sovietici e anche dei suoi più vicini compagni e parte della base, contribuì a porre le basi della nuova Italia di cui oggi godiamo immeritatamente i frutti.
Emblematica è la crescita della aspettativa di vita.
Siamo passati dai 54 anni nel 1881, a quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 (entrambi i miei nonni sono morti prima dei 60 anni) ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Il declino segue la stagnazione della economia italiana, conseguenza della trasformazione del nostro Paese nella terza forma di socialismo, accanto a quella sovietica e a quella cinese.
Il giornale grillino scrive con disprezzo di partito del pil ma loro sono quelli della decrescita felice. Ma sarebbe opportuno ricordassero che la crescita del pil porta al benessere e alla sua diffusione, da che mondo è mondo.
Attori e autori del declino della sinistra sono stati il Pci e le sue mutazioni, Pds, Ds, Pd (con iniezione di siero verde dalla Margherita), Rifondazione Comunista e, sua spudorata evoluzione , M5s.
La lotta di classe è una cosa seria che si può combattere con la rivoluzione, si può anche vincere ma poi la successiva evoluzione avviene secondo le vie nazionali. I differenti risultati in Russia e Cina lo mostrano.
Quella seguita in Italia è una terza via che ci ha portato al socialismo senza grande spargimento di sangue (terrorismo a parte), ha accompagnato la crescita per una parte del percorso, come in Urss fino a Stalin per poi ingrippare tutto più rapidamente che la.
Marx ha compiuto una analisi ineccepibile ma ha sbagliato prognosi terapia e previsione.
Nel periodo socialista includo anche gli ultimi anni di Berlusconi, demagogo cui importava solo delle sue tv, autore di disastri come l’esproprio proletario del tfr e l’avvio della finta soppressione delle province in complicità con due fenomeni come Draghi e Delrio e in totale disprezzo della storia italiana e della cultura millenaria del suo popolo.
In alternativa a quanto sopra la lotta di classe si combatte da singoli, con lo studio e il lavoro come armi, con la crescita individuale come obiettivo. Entrando con sforzo e sacrificio nel mondo di chi è al potere da sempre, stringendo i denti e allargando i gomiti.
Condizioni preliminari per questa forma di lotta di classe sono una economia in espansione, che crea nuovi posti di comando che i figli dei ricchi non possono occupare tutti.
E una istruzione severa e intensa che ti solleva dalla disperazione e dalla ignoranza proletaria e ti trasforma (mai fino in fondo) in uno dei loro, pur sempre entro certi limiti.
Non è col sessantottino 18 politico o con l’auto voto del 2023 che il figlio di un barbiere o di un contadino (cui magari serve invece una laurea in agraria) escono dal loro ghetto.
Per me sinistra è studio e fatica. E anche rispetto per gli altri e per il loro lavoro. Senza debolezze ma anche senza sadiche crudeltà.
Per questi figli di papà che hanno usurpato la lotta di classe per impedirci di emergere è tutto un gioco.
Dei tempi del mio ‘68 genovese ricordo uno scemo chiacchierone che teorizzava l’incomunicabilità fra università e industria e la figlia di un ricco primario (oggi credo moglie di un ricco scienziato) sfilare nei cortei col pugno chiuso per poi tornare a casa dove una cuoca aveva preparato la cena.
Cercate la Schlein? Io la trovo nei miei ricordi.
Torno alla frase iniziale sulle promesse mancate.
La questione morale. Agli italiani degli anni ‘70, ancora solo benestanti ma non più proletari, stanchi di un quarto di secolo di ricatto di pericolo rosso, il Pci non poteva proporre di vivere come i compagni dell’Est ma ne ottenevi il voto ponendo la questione morale. Che fosse un sogno finito con l’arresto del compagno Greganti lo si è capito quando esplose Mani Pulite, fenomeno che non pulì un bel nulla ma servi a relegare l’Italia in coda alla lista dei Paesi più corrotti al mondo, cosa che proprio non credo vera se penso non dico alla Cina ma solo che agli Usa o a un qualunque Paese europeo.
Intanto gli italiani diventavano sempre più ricchi in parte per merito della redistribuzione di reddito seguita alle lotte operaie e al rischio di rivoluzione degli anni ‘70. In parte alla crescita globale del mondo, alla faccia dei gufi no global. In parte e soprattutto grazie alla apertura del mercato europeo.
Pensate al Friuli, una volta terra di polenta pellagra e emigrazione, oggi fra le nostre regioni più avanzate.
A fronte della formidabile crescita italiana, l’apparato amministrativo e burocratico restava quello di prima della Unità d’Italia.
Invece di preoccuparsi di come adeguare l’apparato al nuovo millennio, la sinistra cercava di consolidare e allargare la sua posizione elettorale inseguendo frange della società e chimere.
Essendo rimasto ormai poco da chiedere al fine della redistribuzione del reddito, pena il dissesto, l’obiettivo si è spostato ancora una volta sulla moralità pubblica e sui diritti, temi sempre di forte presa nel ceto medio.
Non che lo Stato sabaudo-borbonico che ci opprime non giustifichi certe battaglie. Però invece di attaccare la causa del malessere, esseri umani quindi elettori e elettrici (anzi rafforzandone vizi e privilegi), hanno sparato in alto verso l’astratto mondo dei diritti assoluti.
Batti e ribatti ce ne siamo convinti un po’ tutti. Non si fa che parlare dei diritti un po’ di tutti. Tranne quelli dell’umore cittadino. Noi restiamo sudditi, come con Carlo Alberto o Franceschiello.
A complicare le cose abbiamo anche vissuto gli effetti di una spinta moralistica, giustificata certo dai fatti ancorché non esclusiva italiana, elevata a categoria dello spirito dal calcolo elettorale e dal bisogno di affermazione di una categoria.
Ma intanto il mondo andava da un’altra parte mentre l’Italia restava impigliata nel groviglio amministrativo che la ha penalizzata per un secolo e mezzo, situazione peggiorata da nuovi vincoli e prevenzioni.
Il dogma è: non importa fare le cose, meglio non farle che farle non a norma.
Così dal 2008, inizio della fine dell’era berlusconiana a oggi, il pil italiano è calato del 10 per cento. In Germania è cresciuto del 14%. In Francia dell’1%, in Belgio del 15%, nel paradiso fiscale Irlanda dell’85%.
Lo Stato e i Comuni bombardano gli italiani di tasse (un impiegato da 1.500 euro al mese si è visto un premio una tantum da 4 mila euro dimezzato dallo scatto di aliquota) e di multe, il pil cala e voi mi parlate di lgbt e uteri mentre pensate a espropriarci con una patrimoniale.
Non chiedetevi poi perché i grillini sono scesi all1 per cento.