Terni tutti figli di un dio minore. Non fa notizia Ast fabbrica buona da salvare

Foto d'archivio
Foto d’archivio

ROMA – Un’intera città ha fatto da ala e da chioccia agli operai dell’acciaieria in sciopero. Un’intera città, decine di migliaia di persone affratellate e accomunate da interessi e sentimenti. Un’intera città…eppure non fa notizia. Una capatina, una comparsata nei notiziari tv e qualche cosa sui quotidiani del giorno dopo. Niente di più è stato concesso a Terni dalla comunicazione di massa. In maniera inconscia eppur massiccia l’informazione considera Terni e i suoi abitanti figli di un dio minore almeno per quanto riguarda la “notiziabilità”. Un po’, per capirci, come accade in queti giorni alle vittime di ebola: paginate e scossoni emotiv-informativi se la vittima ha la pelle bianca, elenco complessivo e asettica e cumulativa cronaca se le vittime hanno la pelle nera.

Perché Terni non “freghi” a nessuno nel sistema della comunicazione di massa è questione che rimanda al provincialismo e soprattutto al conformismo dei format informativi. Nessuno azzarda un titolo o un reportage da Terni forse perché non esiste appunto il format, il modello preconfezionato come invece esiste per la crisi Alitalia o quella di Mirafiori o quella dell’Ilva. Come che sia, il “non frega” non può certo derivare dallo scarso impatto quantitativo della vicenda: sono migliaia i lavoratori e i posti di lavoro in ballo e il comparto della siderurgia non è di quelli marginali e ininfluenti per l’economia nazionale.

In più c’è del paradossale, paradossale ma vero. Quasi l’intero sistema dell’informazione sembra ignorare che stavolta non si tratta di una fabbrica decotta, di uno stabilimento in perdita, di qualcosa da salvare a dispetto dell’economicità dell’impresa. No, stavolta Terni non è il Sulcis che nessuno può salvare mai e che pure mille volte è stato salvato. Ast di ThyssenKrupp , le Acciaierie Speciali Terni sono una fabbrica moderna in grado di una produzione competitiva e remunerativa. La proprietà tedesca vuole venderla per sue strategie di riassetto interno, lo stabilmento ha potenziali compratori ma questi non possono essere europei per non assumere “posizione dominante” nel settore.

Insomma Ast è una fabbrica “buona”, che va. E non una fabbrica “da salvare” a dispetto dei santi dell’economia. Una fabbrica che rischia di essere uccisa, di morire di burocrazia europea. E un’intera città che è in comunione di sangue e cuore con la fabbrica. Venti righe in economia o in cronaca se ci sono incidenti, dieci secondi in tv a corredo degli scontri a Torino organizzati da duecento “antagonisti”. Tanto poco pesano nella nostra narrazione collettiva migliaia di operai e decine di migliaia di cittadini che hanno l’handicap evidente di vivere a Terni.

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