ROMA – Sinistra e piccola borghesia, da Togliatti una lezione che difficilmente il Pd di Zingaretti sarà capace di applicare. Ha perso il consenso della ex classe operaia, finito alla Lega e al Movimento 5 stelle. Sta perdendo quello dei ceti medi che non avevano abbracciato Berlusconi. Togliatti si pentì di avere abbandonato in braccio al fascismo la piccola borghesia italiana, con le sue ansie, le sue paure e i suoi risentimenti. Ma quando fece l’autocritica era troppo tardi: fra il 1922, Marcia su Roma, e il 1935, quando Togliatti ne parlava a Mosca, il regime fascista si era consolidato e si preparava alla conquista di un impero e alla follia della guerra con la Germania.
Togliatti fu tra i più intelligenti e capaci uomini politici di tutti i tempi, uno dei pochi di statura internazionale. Sopravvisse alle purghe di Stalin, guidò il Partito Comunista in Italia con mano ferma nella linea fissata a Yalta ma risparmiando anche l’Italia dalla catastrofe di delle inutili vendette di parte i cui effetti hanno devastato l’Iraq. Fu criticato per la sua amnistia dei giudici fascisti, ma salvò l’Italia dal caos.
In politica interna, fece tesoro della lezione del primo dopoguerra: arruolò gli intellettuali, corteggiò i ceti medi, tracciando un solco che poi Berlinguer coltivò con profitto. Ora però alla guida del Pd ci sono troppi figli della classe medio-alta, nati ricchi o benestanti, passati dai boy-scout e dalle parrocchie alla sinistra politica col senso di colpa. Odiano ricchezza e benessere, a parole, anche se quello è il loro ambiente naturale.
Un pronipote di Togliatti, Marco Minniti, da ministro dell’Interno ebbe il coraggio di dire che sicurezza è di sinistra. Ma i suoi compagni di partito lo hanno spernacchiato. Invece farebbero bene a meditare sulle parole di Palmiro Togliatti, raccolte nel libro Corso sugli avversari, lezioni sul fascismo. A cura di Francesco M. Biscione, Einaudi, 2010. Vi sono raccolti, messi in bella, gli appunti del ciclo di conferenze tenuto da Togliatti a Mosca nel 1935 alla Scuola internazionale leninista.
Queste le amare parole del leader comunista:
“Nel periodo di sviluppo del fascismo italiano prima della marcia su Roma, il partito [comunista], ha ignorato questo importante problema: intralciare la conquista delle masse piccolo-borghesi malcontente da parte della grande borghesia. Questa massa era allora rappresentata dagli ex combattenti, da alcuni strati di contadini poveri in via di arricchimento, da tutta una massa di spostati creati dalla guerra.
Noi non abbiamo compreso che al fondo di tutto ciò c’era un fenomeno sociale italiano, non abbiamo visto le profonde cause sociali che lo determinavano. Non abbiamo compreso che gli ex combattenti, gli spostati non erano degli individui isolati, ma erano una massa, rappresentavano un fenomeno che aveva degli aspetti di classe. Non abbiamo compreso che non si poteva mandarli semplicemente al diavolo. […]
Compito nostro era quello di conquistare una parte di questa massa, di neutralizzare l’altra parte onde impedire che diventasse una massa di manovra della borghesia. Questi compiti sono stati da noi ignorati”.
Proprio in questi giorni il Corriere della Sera ha pubblicato, il 10 luglio, una intervista di Walter Veltroni a Aldo Tortorella, che fu ai vertici del Pci ai tempi di Enrico Berlinguer. Togliatti, ricorda Tortorella, “a me pareva geniale, ma non simpatico”.
Raccontavano i vecchi comunisti di quanto fosse scostante e arrogante. Con Luigi Longo, che era il suo numero due e fu il suo successore, ricorda Tortorella, Togliatti “si parlava quasi con il lei. Non usavano il lei naturalmente, ma erano due persone distanti. Tra i due c’era legame politico, ma non amicizia”.
Tortorella fa anche giustizia della mitizzata “doppiezza di Togliatti”: “L’espressione secondo me non è giusta. Lui non era doppio, era convintissimo che, con la Rivoluzione d’ottobre, la storia si fosse messa in moto, che fosse cominciato il socialismo nel mondo. Una convinzione che sarà superata solo con Berlinguer. […] Togliatti era convintissimo che fosse incominciato il sociaismo. Su questo non c’era doppiezza, lo diceva. C’è un dialogo tra Bobbio e Togliatti, è del 1954. Al liberalsocialismo del filosofo, Togliatti risponde con supposto realismo: “Non ci possiamo inventare noi cosa deve essere il socialismo, adesso c’è già un socialismo che marcia”. Ma quello, commenta col senno di poi Tortorella “non era il socialismo che marciava, era il socialismo che si stava suicidando”.