Trump al servizio di Putin? La grande strategia: Siria, “guerra” alla Cina, ritiro di truppe

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Donald Trump (foto Ansa)

ROMA – Donald Trump sotto il tallone di Vladimir Putin? In America lo dicono da mesi, anzi lo dicono da prima che fosse eletto presidente degli Usa.

Grazie a Trump, Putin si è trasformato in una specie di Cesare imperatore che tiene corte nella località turistico balneare di Sochi, sul Mar Nero. Prima con Erdogan, poi con i leader dell’Africa. Vien da pensarlo e dirlo anche a noi, che Trump fa la politica di Putin, specie dopo l’ultimo exploit della politica estera di Trump: il via libera all’intervento turco nel Nord della Siria, dove vive una prevalenza di popolazione curda.

Il quadro però è molto più ampio dello scenario mediorientale. Si estende fino alla Cina. La Cina è il nemico del domani degli Stati Uniti d’America, l’unica superpotenza con dimensioni e leadership in grado di contrastare il colosso Usa. Sarà, se ci si arriverà, un confronto affascinante, che spero di seguire da una nuvoletta in prima fila in Paradiso.

Da una parte la grande plutocrazia americana, quintessenza del sistema democratico, dall’altra la grande democrazia popolare, dove il comunismo industriale di Deng ha fatto da terreno di cultura a un dirigismo che nemmeno Colbert avrebbe sognato. Ancora 40 anni fa vedere un camion di soldati cinesi faceva pensare all’esercito italiano come a quello di una superpotenza. Oggi li vedi sfilare, vedi le loro navi e aerei e treni.

Ma prima degli Usa, per i cinesi un nemico storico e ultra millenario è in quella terra che si estende a Nord, dal Pacifico agli Urali, che oggi come nel secolo scorso era Russia. Fu per difendersi dalle incursioni da Nord che i cinesi costruirono la Grande Muraglia.

I cinesi sono intelligenti e lavoratori quanto i russi sono ubriaconi e fannulloni. Ho sempre commesso che si potrebbero annettere la Siberia con un boccone. Già controllano i commerci sul confine. Tenerli in scacco con la guerra delle tariffe, contrastarli nel loro espansionismo in Africa rientra nella grande strategia di un grande zar come Putin. Se poi ci metti il ritiro degli americani dall’Afghanistan, il servizio è completo. Si torna alla metà dell’800, ai tempi del Grande Gioco fra la regina Vittoria e gli zar, O, in tempi più recenti, agli anni ’70 del ‘900, quando i sovietici occuparono l’Afghanistan, porta dell’India e dell’Oriente e gli americani li fecero sloggiare da Talebani e Mujahideen.

Torniamo al favore di Trump a Erdogan. Al di là dell’effetto sui curdi stessi, con cui la sinistra italiana ha sempre manifestato grande intimità (chi ricorda l’imbarazzo internazionale causato dal Governo D’Alema quando si mescolò negli affari turchi dando ospitalità al leader comunista curdo Ocalan?) il risultato finale del semaforo verde di Trump sono stati il rinsaldarsi sul campo del rapporto fra il presidente siriano Assad e la Russia e la giustificazione del’intervento russo in congiunzione con quello turco in Siria.

Turchi e russi sono nemici da mille anni almeno, a scuola abbiamo studiato la guerra di Crimea: ora Putin ha Erdogan, nuovo cliente per le sue fabbriche d’armi, al guinzaglio sul campo di battaglia. Soprattutto Putin è tornato da gran signore in terra di Siria, da cui gli americani, con l’improvvida politica di Obama e di Hillary Clinton, avevano provato di estrometterlo.

La Siria, per tutta la Guerra Fredda, era stata riserva di caccia sovietica. Al punto che il padre dell’attuale Assad aveva ammazzato più di 20 mila avversari politici e religiosi nella città di Hama, nel Nord, senza che un intellettuale uno abbozzasse, non dico firmasse, alcun documento. Ma erano bei tempi, quelli, con il partito guida e la rivoluzione permanente. Per la Russia la Siria significa anche lo sbocco al mare, quel Mediterraneo cui altrimenti può accedere solo attraverso i Dardanelli, lunghi, stretti e saldamente in mano alla Nato. L’interferenza russa nelle elezioni americane è alla base della procedura di impeachment, impedimento, cioè rimozione forzata dalla carica, avviata dal partito democratico.

In origine c’è un rapporto di un ex agente segreto inglese, secondo il quale Trump fu immortalato dalle cineprese nascoste dei servizi di spionaggio russi mentre alleggeriva la vescica saltaellando sul materasso dell’albergo di Mosca dove aveva dormito Barck Obama. In ciò imitato da una mezza dozzina di giovani donne, bellissime quanto prezzolate dal fu Kgb.

La spia inglese gode di buona reputazione nell’ambiente ma il suo rapporto soffre di un vizio d’origine perché il committene era il Partito Democratico Usa o il comitato elettorale di Hillary Clinton, poi sconfitta da Trump per l’arroganza e il classismo (verso la classe operaia) tipici di un certo tipo di sinistra borghese.

Ma chi ha letto un po’ di cronache della Guerra Fredda, o un po’ di romanzi ambientati nel mondo dello spionaggio, dai tempi dello zar a quelli di Gorbacev, da Joseph Conrad a John Le Carré, da “Sotto gli occhi dell’Occidente” a “Casa Russia”, ne sa abbastanza dei metodi e delle capacità di quella polizia segreta da considerare verosimile il rapporto di Christopher Steele.

Per chi ha passione per queste cose c’è anche un bellissimo film, del 1962, protagonista Frank Sinatra, The Manchurian Candidate, in italiano “Va’ e uccidi”. Pura fantapolitica? Con i russi tutto sembra possibile.

Un ricasco lo abbiamo avuto anche in Italia, con lo scandalo che ha quasi travolto il leader dell Lega Matteo Salvini. Ma con i precedenti del Partito Comunista, nonno dell’attuale Pd, finanziato dall’Unione Sovietica perché sostenesse la causa socialista internazionale nell’Italia post Yalta, nessuno ha mai sentito il bisogno di approfondire né il rapporto della Lega con i russi e nemmeno quello con la Cina, sprofondato ancor più rapidamente nell’oblio.

Ed eccoci agli eventi degli ultimi giorni, attingendo dalle newsletter di tre grandi giornali italiani.

Turchia e Russia, riferisce il Sole 24 Ore, hanno concluso un «accordo storico» sulla situazione siriana: una tregua di 150 ore nel nord della Siria per completare l’evacuazione delle milizie curde Ypg da un’area di 30 chilometri entro il confine siriano. Lo ha annunciato a Sochi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al termine del suo incontro con Vladimir Putin. 

Integra Repubblica:

“Al termine dei colloqui di Sochi in Russia, durati 7 ore, Vladimir Putin e Recep Erdogan si sono detti soddisfatti dell’accordo raggiunto sul tema Siria. ‘Il presidente turco mi ha spiegato le ragioni dell’offensiva – ha detto Vladimir Putin – , io sono convinto che i sentimenti separatisti nel Nord-Est della Siria siano stati fomentati dall’esterno. La regione va liberata dalla presenza illegale straniera’”.

“Putin ha detto che l’accordo con Erdogan è “‘di importanza fondamentale per il futuro della Siria’e in riferimento ai timori che i prigionieri dell’Isis, una volta detenuti nelle carceri sotto controllo dei curdi nell’area del Nord-Est e ora sotto controllo turco, possano approfittarsene per riprendere forza, ha aggiunto: “I terroristi non traggano forza dall’operazione turca”. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, parlando da Mosca ha detto che sono 500 i detenuti fuggiti dalle carceri durante l’offensiva curda e molti di loro sono combattenti dell’Isis. E’ stato stabilito, nel memorandum d’intesa siglato dai due capi di Stato, che viene proclamata una nuova tregua di 150 ore per consentire alle milizie curde di abbandonare tutta la “fascia di sicurezza”, oltre 400 chilometri di territorio del nord”.

“Turchia e Russia condurranno pattugliamenti congiunti fino a 10 km entro il territorio siriano oltre il confine turco, a est e ovest dell’area in cui è stata condotta l’operazione turca nel nord della Siria, esclusa Qamishli, principale centro curdo nell’area. ‘Oggi con Putin abbiamo raggiunto un accordo storico – ha detto Erdogan – per la lotta contro il terrorismo, l’integrità territoriale e l’unità politica della Siria, e per il ritorno dei rifugiati’. I combattenti curdi intanto hanno dichiarato di aver concluso il ritiro dalla zona sicura nel Nord Est della Siria, in rispetto dell’accordo siglato tra Stati Uniti e Turchia. Il capo delle forze democratiche siriane (Fds), Mazlum Abdi, ha comunicato in una lettera al vice presidente americano, Mike Pence, che hanno ritirato “tutte le forze Ypg” dalla zona”.

Sul Corriere della Sera, Fabrizio Dragosei, profondo conoscitore delle cose russe fin dai tempi dell’Urss, inquadra i rapporti fra Putin e gli africani:

“Con il summit che si apre oggi a Sochi con i più importanti leader africani, Vladimir Putin segna il ritorno in grande stile del suo paese sulla scena politica del continente. Non più solo vendita di armi (la Russia è il primo esportatore sia in Nord Africa che nell’area sub-sahariana), ma anche l’intenzione di giocare un ruolo decisivo che si ricollega a quello che l’Urss aveva negli anni dell’indipendenza di molti Stati ex coloniali. E che vuole essere pure una risposta all’attivismo cinese in atto da anni”.

“Se il Mozambico ha ancora nella sua bandiera l’immagine di un Kalashnikov, anche altri Stati ricordano i rapporti «fraterni» che li legavano a Mosca, dall’Etiopia all’Angola, al Mali. E l’Università dell’amicizia dei popoli della capitale russa, intitolata al leader congolese Lumumba e che ha formato i quadri di mezza Africa, ancora oggi ospita molti giovani provenienti da quell’area. Più di recente, i mercenari della Wagner, società legata a un imprenditore molto vicino al Cremlino, hanno giocato un ruolo decisivo nella Repubblica Centroafricana. E ora Vladimir Vladimirovich vuole estendere la sua influenza. I suoi toni sono molto simili a quelli di una volta: ‘Una serie di Paesi occidentali sta ricorrendo a pressioni, intimidazioni e ricatti nei confronti dei governi africani’ e taluni governi ‘con simili metodi cercano di recuperare l’influenza e il dominio perduti nelle loro ex colonie; tentano inoltre di estrarre il massimo del profitto e di sfruttare il continente’. La Russia è invece pronta a offrire assistenza di tutti i tipi, assicura Putin. Da quella sanitaria a quella economica. Fino, ovviamente, a quella militare e strategica.

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