ROMA – Trump fa il gioco e gli interessi dei russi? Perché? Il Movimento 5 stelle è allineato. Perché? Domande inquietanti ma che vengono spontanee seguendo la cronaca politica italiana e mondiale. In America è in corso una inchiesta pubblica che potrebbe portare all’impeachment del presidente. In Italia silenzio, forse per i troppi scheletri nell’armadio della parte che eravamo convinti fosse la migliore.
Domande inquietanti che vengono naturali anche dopo avere visto in dvd un vecchio film, The Manchurian Candidate, il candidato della Manciuria: è un film del 1962, rimasterizzato e acquistabile su Amazon, versione italiana col titolo “Va e uccidi”, protagonista Frank Sinatra, regia di John Frankenheimer. Basato sull’omonimo romanzo di Richard Condon del 1958 (edizione italiana Oscar Mondadori del 1991), è un racconto di fantapolitica ambientato negli anni della guerra di Corea e della Guerra Fredda. (C’è un remake, del 2004, ma ambientato nel mondo post guerra fredda, dove sono di moda le feroci multinazionali preferite dalla propaganda post sessantottina).
Un reparto di soldati americani in Corea cade in una trappola ordita da un interprete doppiogiochista, viene catturato, narcotizzato e portato in un laboratorio segreto dell’Unione Sovietica in Manciuria, parte russa, poche ore di volo dal campo di battaglia, sopra la Cina, che sta in mezzo senza amare molto né i russi né i coreani, ieri come oggi.
Qui i soldati sono sottoposti a tre giorni di lavaggio del cervello. Uno di loro, il sergente Raymond Shaw è il predestinato, gli altri serviranno a rafforzarne la credibilità. Shaw è di classe alta, il padre era molto ricco, il patrigno era senatore, la madre…vedremo poi. Shaw dovrà, travestito da prete, appostarsi nel grande palazzo dei congressi dove si terrà la convention del partito repubblicano e uccidere il candidato alla presidenza degli Usa. In questo modo, nel disegno del Kgb di Mosca, subentrerà per forza di cose il candidato vice presidente, in apparenza feroce anticomunista ma in realtà complice e manipolato dalla moglie, elegante, aristocratica, madre del sergente Shaw ma soprattutto, dietro la maschera di un anticomunismo estremo, agente al soldo sovietico.
Tragico twist: la perfidia del Kgb ha scelto per killer proprio il figlio della sua propria spia, per tenerla ancor più legata alla causa. Altro tragico twist: il sergente Shaw, fatto rinsavire a metà da Frank Sinatra (che qui non canta ma recita da grandissimo), distoglie il mirino dalla vittima designata e uccide in sequenza il patrigno, la madre e se stesso. Il Manchurian Candidate non è l’unico romanzo che tratta il tema degli infiltrati sovietici con la missione di scardinare il sistema occidentale. Ricordo il bellissimo “Quarto Protocollo” di Frederick Forsyth. Ambientato nella Gran Bretagna degli anni ’70, sosteneva la tesi, accreditata dai servizi segreti inglesi ma anche riscontrabile da chi avesse una mente un po’ dubitosa, di una forte infiltrazione di agitatori al servizio più o meno consapevole ma oggettivo degli interessi del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica. C’era un brutto clima in Gran Bretagna in quel periodo. Vedere le autoblinde attorno all’aeroporto di Londra faceva un certo effetto. Il terrorismo in Irlanda picchiava duro, anche grazie alle armi fornite da Gheddafi, all’epoca rivoluzionario. I sindacati avevano spinto la lotta di classe oltre i confini del buon senso e del senso comune. Giocava certo il profondo odio sociale che divide gli inglesi con intensa reciprocità da ancor prima della conquista normanna (1066).
Ma il dubbio di una penetrazione sovietica nel sindacato non era da considerare così folle, in un Paese, l’Inghilterra, che un bel giorno aveva scoperto che il numero due dei loro servizi di spionaggio, MI6, Kim Philby, era un agente sovietico. Una congiura del silenzio impedì loro di leggere le accuse, pubblicate all’estero (ancora oggi a Londra, dove si trova di tutto, quel libro, “Spycatcher” è semiclandestino), da Peter Wright, un ex agente del controspionaggio (MI5), che il capo del servizio era lui stesso una talpa sovietica. Talpa, Mole, è peraltro parola chiave a livello mondiale grazie al romanzi di Rupert Cornwall e alle loro versioni cine-tv, di Alec Guinnes.
Non è che in Italia non scherzassimo in quegli anni. Molte persone in posizioni chiave anche dell’editoria più di una volta scelsero di non dormire a casa. C’era aria di golpe e di retate. Ma sempre all’italiana. In fondo era anche un pretesto per non tornare al letto coniugale. Le uniche cose serie, su cui non si poteva e non si può scherzare, sono state le vittime del terrorismo e delle stragi. La tensione la sentivi nell’aria che respiravi, forse anche perché l’inquinamento era molto più forte di oggi. La sentivi, a Milano, fin nella voce della ragazza del radiotaxi. Se cercate le radici dell’odio sociale di oggi, andate indietro a quegli anni e forse ancor di più, a un quarto di secolo prima. Ma chi ha il coraggio di guardarsi allo specchio della memoria e capire?
Caduta l’Unione Sovietica, in Italia arrivò la fanghiglia del rapporto Mitrokin. Erano coinvolti nomi insospettabili e anche, se ne conoscevi, incredibili. La mia impressione è che l’agente russo invitasse a cena qualche giornalista non del Pci ma in odore di sinistra per farlo chiacchierare un po’ e giustificare la nota spese in qualche lussuoso ristorante romano. La chiacchierata scandita da penne alla amatriciana e ossobuco era poi trasferita a Mosca sotto forma di informazioni ultra segrete.
Ciò non toglie che qualche danno, e non da poco, l’Unione Sovietica sia riuscita a infliggerlo alla nostra povera Italia. Con conseguenze che paghiamo ancora oggi. Certamente chi agiva sul campo era inconsapevole, convinto di servire una causa più grande e nobile. La letteratura ha vari esempi anche prima della Rivoluzione d’Ottobre. Leggete l’Agente Segreto o Sotto gli occhi dell’Occidente di Joseph Conrad per documentarvi.
Ma è un fatto oggettivo che i portuali genovesi soffocarono il porto scioperando in solidarietà per i vietnamiti vittime dell’imperialismo americano. Gli scioperi a gatto selvaggio misero in ginocchio la grande industria italiana. Se siamo diventati un paese di fornitori dei tedeschi è conseguenza della scomparsa della grande industria. E chi pontificava contro il Moloch della grande industria e contro gli immigrati?? Badate bene prima di rispondere. Salvini non era ancora nato e Umberto Bossi all’epoca era… Un bel po’ di colpe ce l’ha una classe imprenditoriale viziata dall’autarchia e dal boom post bellico, inadeguata nella gestione del conflitto e poi troppo riduttiva nel limitare al solo controllo della forza lavoro l’equazione industriale. Ma se vado indietro con la memoria a quegli anni, qualche dubbio mi viene che quel che succedeva in Italia rientrasse in un gioco più grande di noi, in una versione occidentale del Grande Gioco ottocentesco (avete letto Kim di Kipling?). Forse si trattava di coincidenze, gli interessi a conflitto nella Guerra Fredda giocavano su una realtà sociale oggettivamente molto più difficile di quella di oggi. Al punto che le organizzazioni terroristiche potevano sperare di trovare consensi molto più ampi di quelli di cui godettero.
Ma nessuno ha mai smentito che campi di addestramento dei nostri terroristi fossero attivi in Cecoslovacchia, all’epoca Paese satellite dell’Unione Sovietica, rifugio, forse più vivibile di Mosca oltre che più sicuro di Parigi, per molti latitanti fin dal dopoguerra. Oggi giustamente si celebra la memoria del sindacalista Guido Rossa, militante del Pci, ucciso dalle Brigate Rosse perché aveva esortato gli operai genovesi a denunciare i colleghi sospettati di appartenere alle organizzazioni terroristiche o di fiancheggiarle. Rossa fu ucciso nel 1979.
Ma il maresciallo dei carabinieri Felice Maritano fu ucciso dalle Brigate Rosse nel 1974. Era comandante della stazione dei carabinieri di Sampierdarena. Lo vidi qualche volta quando facevo il cronista dell’Ansa. Era la quintessenza del servitore dello Stato, generoso, pulito, entusiasta. In quegli anni per il Pci i terroristi erano “compagni che sbagliano”, Giorgio Amendola condannò le violenze in fabbrica, matrici di terrorismo, nel 1979, novembre, 8 mesi dopo l’assassinio di Rossa, 5 anni dopo quello di Maritano. Tutto questo ormai fa parte del passato, pochi ricordano, il ricordo dà fastidio. Il negazionismo incombe anche a sinistra.
L’Unione Sovietica si è sciolta, il pericolo sovietico non c’è più. La Jugoslavia, il cui esercito, certo disallineato da Mosca ma sempre pronto a sostenere la rivoluzione proletaria si è disintegrata. Ma il cuore dell’Unione Sovietica, la Russia, zarista, comunista, post comunista batte ancora. A capo della Russia non c’è un dissidente reduce dal Gulag, c’è l’ex capo della stazione di Berlino del Kgb, il servizio di spionaggio (e azioni violente) di Stalin e successori. In origine si chiamava Ceka. Ora ha cambiato di nuovo nome, si chiama Fsb.
Uomini del Kgb sono in posti chiave della struttura russa, l’ex capo stazione di Londra è stato editore di giornali inglesi (ora c’è il figlio). L’ho incontrato qualche anno fa. Sciolto, cosmopolita, inglese ineccepibile e quasi senza accento. Abiti di Armani, ufficio al ventesimo piano di un grattacielo a Mosca, a 20 mila dollari al metro quadrato, passione per i week end in Italia. C’è chi ha scritto che se Beria, capo del Kgb di Stalin, non fosse stato giustiziato dai tremebondi cospiratori che installarono Kruscev, sarebbe stato l’unico in grado di risollevare l’Unione Sovietica dalla deriva in cui lo trascinarono Bresnev e compari. Solo gli uomini del Kgb, con la loro conoscenza del mondo là fuori, innestata su un senso superiore di patria e ideologia, potevano riuscirci. Non a caso chi provò il recupero nel dopo Breznev fu un altro capo del Kgb, Yuri Andropov. Morì troppo presto. Poi venne Gorbaciov e fu il disastro.
Intanto in Cina saliva l’astro di Deng che impresse al dopo Mao una spinta opposta: salvò il comunismo, mantenne saldo il partito comunista, ingaggiò con l’Occidente capitalista una gara sul suo stesso terreno che può essere la premessa della terza guerra mondiale. Oggi la Cina è la potenza alternativa agli Usa, la Russia lotta per la sopravvivenza. Qualcosa in comune la Russia in bilico e la Cina in espansione lo hanno. Il controllo assoluto della macchina propagandistica e spionistica ereditata dai regimi brezneviano e maoista degli anni ’70. In quegli anni, era più facile. Il vento soffiava nella loro direzione. Alla prima di Novecento di Bertolucci al cinema Adriano di Roma non c’erano proletari in tuta ma borghesi in Lacoste. Le signore milanesi erano tutte per Mao e i figli di alcune di loro le presero anche sul serio. Erano i brividi del sorpasso (del Pci sulla Dc) e del compromesso storico. In Italia tutto si sistemò con la fine dell’alta marea elettorale e con il nuovo mantra dei lavori pubblici: un terzo alle imprese statali, un terzo a Fiat e privati, un terzo alle cooperative.
Un po’ più in là il Grande Gioco si perpetuava, l’Unione Sovietica occupava l’Afghanistan, gli americani riempivano di armi i signori della guerra tribali e mettevano in moto la valanga talebana. Oggi l’Europa e l’Occidente hanno visto raffreddare i bollenti spiriti degli anni ’70. I livelli superiori di Lotta continua sono diventati ricchi borghesi, giornalisti di grido, imprenditori. Gli estremisti rossi tedeschi sono diventati verdi e ministri. Gli estremisti sindacali inglesi aspirano alla carica di primo ministro di Sua Maestà. Ma a Mosca e a Pechino, le centrali di spionaggio, deception (inganno) e covert action (azioni segrete) lavorano su quattro turni. I loro maestri sono quelli che furono capaci di spiare il presidente americano Roosvelt e furono fondamentali nell’operazione di raggiro compiuta da Stalin ai danni di un uomo segnato dalla malattia in cui il sospetto verso gli inglesi prevalse sulla paura del comunismo.
Oggi il mondo è cambiato, gli americani hanno potuto apprezzare le conseguenze di quei tragici errori alle conferenze di Teheran e Jalta (troppo forti sono i miti, ma forse verrà un giorno in cui si rifletterà sulle conseguenze per l’Italia di un altro gravissimo errore americano, la scelta di sbarcare in Sicilia anziché a Nord, le cui conseguenze paghiamo ancora oggi).
Oggi il mondo è cambiato. Ma, quando leggo che Trump abbandona l’Afghanistan e la Siria, sento un brivido. In Afghanistan sono morti a decine di migliaia, dalle falangi di Alessandro agli inglesi al Kyber Pass, ai russi di Breznev e poi i talebani schiacciati dai missili Usa. Abbandonarlo è un modo per lasciare il campo libero ai russi nel cuore ell’Asia centrale. Oggi come ieri può minacciare una delle vie della seta. La Cina sta investendo miliardi sui nuovi sbocchi commerciali verso occidente. Come la storia tedesca insegna, ferrovie e autostrade alimentarono la crescita economica ma resero anche lo spostamento di truppe un gioco di logistica.
Si legge sui giornali americani dello sforzo cinese di costruire una rete di influenza nel resto del mondo. Il loro campo di azione è però abbastanza limitato alle loro comunità. I tratti somatici sono un vincolo oggettivo. Gli ex “cinesi” d’occidente resistono ma pesano poco. La Cina è subito a est dell’Afghanistan. La Cina, forte di una popolazione sei volte superiore, è per la Russia un altro nemico mortale, non di tipo planetario come per gli occidentali, ma sul piano locale può essere questione di vita o di morte. Da sempre il fuoco cova sotto la cenere in Siberia, un pezzo di Siberia e già praticamente in mani cinesi. Per la Russia il controllo dell’Afghanistan è molto più di una spina nel fianco cinese.
Sempre a est c’è il Pakistan, incubatrice di terrorismo islamico ma fermo alleato amicano da cui partivano gli attacchi ai russi e i rifornimenti ai guerriglieri loro ostili negli anni ’70. Anche in Pakistan la Cina butta miliardi per infrastrutture che aiuteranno l’economia locale e la Cina a rompere l’isolamento.
Quando leggo che Trump abbandona la Siria peggio mi sento. La Siria è stata, per tutta la Guerra Fredda, lo sbocco al Mediterraneo dei sovietici. Era una loro estensione, da lì mestavano in Libano, lì sotto la loro copertura si compivano stragi in nome del vero Allah. Il padre dell’attuale presidente Assad ne ammazzò fra 10 e 50 mila ad Hama. In occidente quasi nessuno se ne accorse. Alla sinistra e alla stampa in genere non interessava molto quello che accadeva oltre la cortina di ferro e la Siria godeva indirettamente di quella copertura. Dalla Siria, Kim Philby (vedi sopra) quando si vide scoperto, andò a rifugiarsi a Mosca.
A Damasco si rifugiò il terrorista internazionale Carlos, dopo avere compiuto sanguinose stragi in tutto il mondo (gli hanno anche attribuito l’attentato di Bologna del 1980 ma lui ha girato la colpa su Cia e Mossad). Ora sta scontando l’ergastolo in Francia. Con la fine della Guerra Fredda e della guerra civile in Libano la Siria stava godendo di un periodo di pace, aperture, miglioramento economico. Sono stato due volte in Siria, fra il 2000 e il 2006. Ogni volta era meglio, si vedeva il benessere percolare nella popolazione, Damasco faceva pensare agli anni d’oro dell’impero bizantino e di Saladino; ad Aleppo ti sentivi un po’ come a casa. Homs, oggi un cumulo di macerie, era una città prospera. Andai a cercare il tempio del Dio Sole di Eliogabalo a Emesa – Homs ma ci trovai un grande distributore di benzina, di fronte a un eccellente ristorante. Ad Aleppo pellegrini in viaggio con una specie di carrozzone da circo verso la Mecca da una repubblica asiatica ex sovietica si finanziavano vendendo tappeti ai turisti occidentali.
Per gli americani si imponeva il regolamento di conti, quei due fenomeni di Barack Obama e Hillary Clinton caddero nella trappola della burocrazia deviata americana (andate a vedere Vice e qualche sospetto vi verrà) e scatenarono una guerra civile che in Siria, sulla spinta delle poi congelate primavere arabe, continua ancora. Per rimediare a uno dei loro più gravi errori, secondo forse solo alla guerra in Iraq, gli americani sono dovuti intervenire in Siria. Questo però ai russi non piace, come non sarebbe piaciuto ai sovietici. La Russia di Putin è molto impegnata a recuperare i suoi spazi nel mondo. Offre ai coreani una centrale nucleare. Manda un aereo a portare in salvo l’oro della banca centrale venezuelana. Possibile che il ritiro dall’Afghanistan e dalla Siria siano solo frutto di un calcolo sbagliato? Possibile che le rivelazioni dell’ex spia inglese Christopher Steele sulla ricattabilità di Donald Trump da parte dei sovietici siano solo fantasie?
Troppi, leggendo notizie di quel tipo, si girano dall’altra parte. E troppi sono quelli che non osano chiedersi perché la linea di un partito che ci auguriamo segua negli archivi della storia il destino dell’Uomo Qualunque, il Movimento 5 stelle, sia così coerente con gli interessi della Russia di Putin, fino al ridicolo del Venezuela e, ancor più, alla guerra alla Francia, per fortuna solo verbale e più sullo stile di Tartarino di Tarascona. Far guerra alla Francia, guerra guerreggiata come nel ’40, o doganale come nel 1887, all’Italia ha sempre portato male. Cosa c’è dietro la saccente esposizione di malefatte francesi da parte degli ineffabili Di Maio e Di Battista? Nessuno sembra preoccuparsi. Con tutta la simpatia per i due giovanotti, qualche dubbio che le informazioni da loro sciorinate sulla moneta che lega la Francia alle sue ex colonie, ce lo dovremmo far venire. Lo hanno studiato a scuola? Lo hanno appreso a qualche corso serale di alta politica? Una volta il Pci aveva le Frattocchie. Si tengono corsi presso la ditta Casaleggio? Ma la Casaleggio è appunto una ditta, una istituzione non trasparente, un organismo non previsto dalla Costituzione, che però interagisce e gestisce un partito autodefinito movimento e tiene legati a doppio filo, con contratti e penali mica da due soldi, i parlamentari dello stesso partito e probabilmente anche i suoi eletti nelle rappresentanze locali.
Chi dà la linea a Di Maio e Di Battista. Beppe Grillo che ha studiato storia alle medie di San Fruttuoso? Nella opacità che avvolge il Movimento 5 stelle, ogni dubbio è lecito. E di voi, uno su tre li ha votati…