Venezia salvata dal Mose, Genova sarà salvata dalla nuova diga del porto? Genova e Venezia, nemiche da mille anni sono unite dal livello crescente del mare.
I veneziani hanno dovuto aspettare 40 anni perché le paratoie, le pareti mobili del Mose, si alzassero e fermassero, dopo secoli, l’acqua alta che, inesorabile, sommergeva la città nei mesi brutti.
Invece di innalzare un monumento in San Marco a Luigi Zanda, che ben 40 anni fa avviò il progetto , e bruciare in effigie quelli che hanno fatto perdere quasi dieci lustri, i veneziani continuano a mugugnare e litigare.
Gli ambientalisti o pseudo tali che per quattro decenni hanno tenuto Venezia in ostaggio, non si rassegnano.
I genovesi finora non hanno avuto di questi problemi, almeno nell’ultimo secolo. Il merito è della diga foranea costruita un secolo fa: è lunga 3.800 metri. Senza la diga, la vecchia parte di Genova, che è sotto il livello del mare, sarebbe stata sommersa dalla mareggiata del 1955 e forse anche da quella del 2023.
Ci furono discussioni cent’anni fa, ce ne sono oggi alla vigilia della costruzione della nuova super diga, 500 metri in mare oltre quello vecchia. Ma i genovesi sono arabi, non bizantini e non faranno passare 40 anni come i veneziani.
Il dolo delle dighe si impone nel mondo in questi tempi di incertezze climatiche. Non sono convinto che il cambiamento climatico dipenda dall’uomo.
Nella mia ormai lunga vita ne ho sentiti tanti profeti di sventura rivelatisi poi solo degli ignavi tromboni.
Forse più determinante è la legge dei cicli di ….
secondo il quale il clima sulla terra cambia ogni tanti anni secoli millenni e non c’è niente da fare. Non c’erano automobili nè fabbriche eppure il Sahara è diventato deserto. Il clima ha fatto crescere e cadere l’impero romano, Babilonia, l’Egitto, gli ottomani.
La grande differenza fra il presente e il passato è che oggi disponiamo di tecnologie e strumenti che possono attenuare o eliminare gli effetti del clima impazzito.
Fra questi le dighe. In Italia Wikipedia menziona, oltre a Genova, quelle di Spezia, Brindisi, Gela.
Sono città portuali, la protezione delle città è conseguenza non voluta della tutela delle navi e degli ormeggi.
Non c’è mi pare ancora in Italia consapevolezza della necessità di difendere le coste dal mare che crescerà di livello, dalla furia sempre più intensa delle onde.
All’estero ci sono punte di attenzione. Gli olandesi sono al primo posto, per consuetudine millenaria.
Nel mondo ci sono aziende specializzate nella costruzione di dighe personalizzate.
Il dibattito sulla opportunità delle dighe è in pieno svolgimento, gli ambientalisti sono in prima fila sul fronte del no.
Mi domando come sarebbe l’Italia che il Rinascimento ci ha lasciato se fossero stati attivi anche a quei tempi.
Apre una finestra sulle polemiche il settimanale New Yorker. Jason Horowitz e Emma Bubola ricordano che “la più antica diga conosciuta fu costruita intorno al 5000 a.C., dopo un periodo di riscaldamento che sciolse i ghiacciai e sollevò il Mediterraneo di un’incredibile altezza di quasi 9 metri.
“Una comunità dell’età della pietra, che viveva vicino a una spiaggia nell’attuale Israele, cercò di allontanare il mare con un muro di massi alti un metro, lungo quanto un campo da calcio.
“Altri scavi hanno portato alla luce antiche fortificazioni costiere in luoghi come il Libano e l’Egitto. Gli antichi porti romani utilizzavano un tipo di cemento che diventava più forte a contatto con l’acqua.
“Nella guerra con il mare, gli olandesi sono probabilmente quelli che hanno trascorso più tempo in trincea. Quando Plinio il Vecchio visitò i Paesi Bassi nel 47 d.C., paragonò le persone che incontrò a marinai abbandonati che vivevano su cumuli artificiali di fango; nell’alto medioevo, la gente del posto costruì una diga”.
A quel che so, ancora oggi gli olandesi sono i più avanti nel mondo nello sforzo di anticipare i capricci del clima: non perdono tempo in chiacchere, fanno.
E in Florida c’è anche una azienda, Duncan Seawalls, specializzata nella costruzione di dighe di ogni dimensione, anche per proteggerre la vostra spiaggia privata.
In Italia, i presunti ambientalisti figli di un mai dimenticato nè perso ’68 non si sanno arrendere alla evidenza. Il Mose ha salvato Venezia? Ma va là, sono tutte balle.
Francesco Chiamulera sul Corriere della Sera fotografa con humour la situazione che confina nell’assurdo.
“Sette giorni fa il Veneto si preparava al maltempo che ha portato devastazione e morte in Toscana, ma che ha risparmiato questa regione. Tre casi su tutti, i bacini di laminazione, la Galleria Adige-Garda e il Mose, sono al centro della tenuta del sistema.
“Eppure con tutte le volte che in questi mesi il Mose è entrato in funzione salvando puntualmente Venezia e la Laguna non si può non tornare, per onestà intellettuale, sulla quantità di parole che erano state versate nei decenni precedenti per avversarlo e bloccarlo, il Mose. Si fa presto a scordare le profezie apocalittiche, quando si sta belli asciutti.
“Il volantino risale al 2002, a una delle plurime manifestazioni contro il sistema di dighe mobili. Lo cita nel suo spassoso «Il governo dell’acqua» (Marsilio, 2009, appena tornato in libreria) Andrea Rinaldo, vincitore dello Stockholm Water Prize. Perché spassoso? Perché Rinaldo, ingegnere idraulico ma anche persona dotata di una ineffabile memoria storica, si è segnato tutte le previsioni catastrofiste che sono state dette in questi anni su dighe, argini, alluvioni. Per esempio, ricorda Rinaldo, quando secondo Gianfranco Bettin (1993) il Mose era «un vero e proprio strappo – l’ennesimo – dalla secolare esperienza veneziana di governo delle acque».
“Quando Paolo Cacciari, allora consigliere comunale a Venezia, poi assessore all’Ambiente, si scagliava (2002) contro «la folle miopia del Mose». Ma non c’è solo Venezia. La sconfortante letteratura sulle alluvioni al meglio è approssimativa, al peggio proprio fallace.
“Dall’ex ministro dei Verdi Edo Ronchi, che si lamenta delle «sempre più numerose vittime di inondazioni» (quali esattamente? In che zona? In che periodo?), al guru italiano delle catastrofi ambientali, Mario Tozzi, fino al sito Geologi.it, che spiega come «generalmente gli antichi conoscevano le zone che periodicamente venivano interessate dalle alluvioni, ed evitavano di costruire le loro case in queste zone».
“Ah, i bei tempi andati! Ah, la saggezza delle genti di una volta! Ma certo che, osserva Tozzi, «dovevano avere una sfortuna colossale quelle migliaia di antichi saggi che secondo Averone, Bottoni o Paolo Diacono affogavano miseramente a ogni piena importante del Po».
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