Brescia giallo fonderia. “Bozzoli mai uscito dalla fabbrica”

Brescia giallo fonderia. "Bozzoli mai uscito dalla fabbrica"
Brescia giallo fonderia. “Bozzoli mai uscito dalla fabbrica”

BRESCIA -Nella fonderia di Marcheno (Brescia) si cercano dei cadaveri. Questo la dice lunga sul sospetto degli inquirenti: l’imprenditore scomparso, il 50enne Mario Bozzoli, potrebbe infatto essere stato ucciso e non è escluso che il suo corpo o quel che ne rimane sia all’interno dell’azienda che guidava, due capannoni industriali in Valtrompia che sfornano lingotti d’ottone. Come in un film dell’orrore, i reparti speciali dei carabinieri, unità cinofila e Ris, stanno cercando frammenti di tessuti, di ossa, di denti un po’ ovunque: nei forni, fra le scorie di lavorazione, perfino nei lingotti.

“Gli elementi che abbiamo raccolto fanno ritenere che la sera dell’8 ottobre il signor Bozzoli non sia mai uscito dall’azienda“, precisa il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno. I vestiti rimasti nello spogliatoio, la macchina parcheggiata, nessuna immagine, nessun incontro. “Si poteva pensare a un sequestro ma l’ipotesi è via via sfumata”, aggiunge un inquirente. L’indagine intende far luce anche su ogni aspetto della vita di Bozzoli. Fra le famiglie dei due fratelli, Mario e Adelio, proprietari al 50 % della società, c’erano stati dei contrasti riguardanti la gestione futura dell’azienda. “Rapporti non idilliaci”, li definisce Buonanno, “di forte dialettica”.

Andrea Pasqualetto per Il Corriere della Sera racconta anche di una possibile istigazione al suicidio:

Nessun indagato anche nell’altro fascicolo aperto sulla vicenda, quello sulla morte di Giuseppe Ghirardini, l’operaio addetto ai forni della fonderia trovato senza vita domenica in montagna, fra la sponda di un torrente e una pineta. Malore? Assideramento? Suicidio? Omicidio? “Istigazione al suicidio”, è l’accusa formulata dalla procura ma per ragioni tecniche, cioè per consentire l’autopsia. Da una prima ricognizione non sono emersi segni di violenza, cosa che sembra escludere il delitto. Di più potrà dire l’esame tossicologico, il cui esito non è però immediato. C’è un dato significativo: fino a ieri sera non era stato trovato il telefonino dell’operaio, lo stesso che aveva agganciato alcune celle di montagna il giorno della scomparsa. Ma se si fosse trattato di un malore che motivo aveva Ghirardini di liberarsi del cellulare? E se invece prendesse quota l’ipotesi del suicidio, perché l’avrebbe fatto?

Quel giorno Ghirardini avrebbe dovuto essere risentito «per dei doverosi accertamenti», ricorda Buonanno. Lui era uno dei tre dipendenti presenti quella sera in fabbrica. Ha visto e salutato Bozzoli. “Fra di loro non c’erano contrasti – ricorda Casse Mandaw, nigeriano di Lumezzane, operaio dei “lingotti” che aveva finito il suo turno alle 19, mezz’ora prima della scomparsa -. Mario era molto felice perché da Milano era arrivato l’ok all’apertura della sua clinica dentistica a Montichiari”. Può essere finito nel forno? “È alto 1.90, uno da solo non poteva buttarlo». Buonanno lo riconosce: «È una delle indagini più difficili”.

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