RAVENNA – Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi uniti contro Stefano Bonaccini in Emilia Romagna, sicuri che il voto alle elezioni regionali di domenica 26 gennaio “libererà” la regione e contemporaneamente “sfratterà” Giuseppe Conte da Palazzo Chigi.
Bonaccini chiude invece a Marzabotto, la cittadina appenninica simbolo della resistenza, mentre il segretario del Pd Nicola Zingaretti va in Calabria. Cesena è location della prima uscita pubblica del neo capo politico dei 5 stelle, Vito Crimi.
I tre leader del centrodestra, insieme alla candidata Lucia Bergonzoni, chiudono insieme questa lunghissima campagna elettorale, in piazza a Ravenna, sicuri di una vittoria storica che da lunedì cambierà tutto, a Bologna come a Roma.
“Lunedì citofoneremo a Conte e gli facciamo fare gli scatoloni”, esclama Giorgia Meloni. Zingaretti in Calabria attacca frontalmente l’ex Ministro dell’Interno: “Salvini è il peggiore a risolvere i problemi. È sbagliato, come fa la destra – sottolinea – diffondere odio, stupidaggini, per raccattare voti cavalcando la rabbia ed i problemi”.
Dietro la decisione di Bonaccini di andare a rendere omaggio alla città simbolo della Resistenza c’è l’obiettivo di respingere bruscamente la narrativa portata avanti da Salvini secondo cui il 26 gennaio resterà nella storia come un secondo 25 aprile, una seconda liberazione, non più dal nazifascismo ma dalla sinistra che in questa Regione governa da sempre. Davanti al sacrario in memoria di oltre 700 vittime civili trucidate dai nazisti, depone una corona e canta “Bella Ciao”, l’inno scelto dalle Sardine. Un modo per rivendicare, alla vigilia di un voto così incerto, le radici della sua storia.
In questa convulsa ultima giornata di campagna elettorale è arrivato in Emilia anche Vito Crimi, per la prima volta nella veste di neoreggente del Movimento. “Questo voto – assicura da Cesena – non avrà alcun impatto tenuta del governo”. Di parere opposto Salvini, che su questa sfida regionale si è speso anima e corpo, più di ogni altro leader. Sin dal primo momento, sin dalla prima manifestazione del Paladozza, datata 14 novembre, ha sempre considerato questo voto un test nazionale. E venerdì ha ribadito che vincere qui significa “mandare a casa Conte, Di Maio e Zingaretti”.
Anche Silvio Berlusconi, in passato apparso timido su questo fronte, venerdì ha sfidato apertamente il governo giallorosso. A suo giudizio, in caso di vittoria del centrodestra in Emilia, “se non ci fossero le dimissioni e il governo continuasse a stare lì, l’Italia non sarebbe più una democrazia”. Convintissima sulle conseguenze nazionali di queste regionali anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Io, Salvini e Berlusconi siamo pronti ad andare al governo. Se vinciamo chiederemo le elezioni anticipate”, annuncia dal palco ravennate, da dove ripropone il suo celebre tormentone di grandissimo successo “Io sono Giorgia, sono una donna…”.
Un palco, quello di Ravenna, con tutti i simboli dei partiti della coalizione, che restituisce l’immagine plastica di una colazione che malgrado le tensioni interne scalpita per un repentino ritorno alle urne. Ora la parola ai cittadini emiliano-romagnoli, per una sfida, questa di domenica, che oggettivamente si presenta assolutamente incerta, come non è stata mai in questa terra. Una vigilia arroventata, dai toni quarantotteschi, in cui potrebbe giocare un ruolo importante il dato dell’affluenza. Cinque anni fa, Bonaccini trionfò in un’elezione segnata da un minimo storico di partecipazione, appena il 37%. Adesso, i leader del centrodestra, invece, sono convinti che quanto sarà più alta l’affluenza alle urne, tanto saranno maggiori le loro chance di vittoria. (Fonte: Ansa)