Fondi Unione europea per la ricerca energetica. Boschi e Quattrocchi (Ingv): per 30 gestisca lo Stato

Fedora Quattrocchi
Fedora Quattrocchi

Si è fatto intenso il dibattito sull’impiego dei fondi che l’Unione europea intende destinare, triplicando lo stanziamento attuale, al finanziamento della ricerca energetica e in particolare su quella parte di fondi che dovrebbe essere rivolta al progetto di riduzione delle emissioni di carbonio dell’80% entro il 2050.

Secondo il quotidiano online Greenreport.it, l’Unione ha ribadito l’importanza di aumentare i finanziamenti destinati all’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili e alla riduzione delle emissioni vista la necessità di competere con le politiche energetiche proposte da Usa e Giappone, ormai molto avanti nello sviluppo di tecnologie pulite.

La previsione è che siano assegnati, entro il 2020,  finanziamenti di 16 miliardi di euro all’industria solare, 6 miliardi al settore eolico e 9 miliardi all’industria delle biomasse e dei rifiuti. Tra i progetti da finanziare entrano anche quelli di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) cui dovrebbero venir assegnati 13 miliardi, mentre 7 miliardi andrebbero all’industria del nucleare e 30 dovrebbero essere destinati alla progettazione e alla costruzione di 30 città ad alta efficienza energetica.

Il principale interrogativo riguarda il modo in cui verranno gestite queste risorse.

La tesi di Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica (INGV) , è che “per i primi 20-30 anni di mercato, tutto ciò che è trasporto e stoccaggio geologico di CO2 sia gestito e monitorato dallo Stato”, lasciando “ai privati solo l’onere della cattura e semmai delle infrastrutture in superficie. Solo dopo l’avvio di questo periodo di sviluppo e ricerca, anche i privati potranno accedere al mercato del sottosuolo. Questo principio dovrebbe essere valido non solo per lo stoccaggio di CO2, ma anche per quello delle scorie nucleari, gas naturale e geotermia profonda a bassa entalpia”.

Prosegue Greenreport.it che “l’INGV intravede, nell’affidare ai privati il complesso sistema del sottosuolo post-2010, alias un articolato sistema di stoccaggi di CO2, gas naturale (riserve strategiche), stoccaggio profondo geologico scorie nucleari e geotermia a bassa entalpia, un grande rischio, almeno per i prossimi 20-30 anni. Forse solo lo stoccaggio di gas naturale, quasi completo sul territorio, potrebbe rimanere totalmente privato (sebbene sempre in concessione, si intende), ma tutte queste nuove tecnologie quali CCS, il nuovo trend nucleare e sperimentazioni geotermiche come “Hot Dry Rocks”, richiedono una delicata gestione della scelta dei siti del sottosuolo e del monitoraggio geochimico e geofisico, che praticamente deve rimanere solo pubblico, considerando che l’INGV ha già molte reti di monitoraggio sparse sul territorio e già finanziate dal Dipartimento di Protezione Civile. In questo caso si abbatterebbero parzialmente i costi di questi stoccaggi con beneficio finale sulla bolletta elettrica. Ampie collaborazioni di ricerca pubblica, sarebbero possibili (con CNR, ENEA e piccoli altri centri e università), con nuovi posti di lavoro di elevata qualificazion.

Enzo Boschi
Enzo Boschi

Spiega l’INGV che “questa proposta nasce anche a causa del delinearsi all’orizzonte di una miriade di società private che vogliono improvvisare il monitoraggio geofisico e geochimico per i progetti CCS, in ottemperamento con il secondo Annesso tecnico della Direttiva europea sullo stoccaggio geologico di CO2, pubblicata qualche mese fa ed in via di ottemperamento anche in Italia. Quel che accadrebbe, lasciando in mano i primi progetti di stoccaggio “complesso” a queste lobby, è un prevedibile innalzamento del costo del R&D (Ricerca e sviluppo) sulla scelta dei siti/monitoraggio CCS che in questa fase dovrebbe rimanere basso per incentivare il mercato: services, società spin-off/ricerca legate a professori universitari in pensione, etc… che continuerebbero così a sfruttare i loro precari, i quali passerebbero quindi da un già scomodo regime di ricerca precario pubblico ad un regime di ricerca precario ancor più imprevedibile: quello privato. In questa delicata fase invece l’INGV propone un “sistema Paese integrato” degli stoccaggi/acquiferi/uso del sottosuolo ed è disposto a difendere tale idea con assoluto rigore.

Aggiunge Fedora Quattrocchi, dirigente dell’Istituto e esperta internazionale in materia: “La situazione energetica si sta complicando in quanto si stanno evidenziando con sempre maggiore forza le necessità di individuare siti di stoccaggio geologici, non solo per la CO2 ma anche per le riserve strategiche di metano, siti profondi per geotermia a bassa entalpia (es. tecnica Hot Dry Rocks) e adesso, con la volontà di tornare al nucleare, anche per le scorie ad alta radioattività che ne derivano. Un sistema complesso che non può rimanere in mano al mercato privato perché questo non si autoregola”.

Quindi “è necessario operare un’ adeguata pianificazione per individuare quanti siti servono, quali caratteristiche devono presentare e per far questo è indispensabile ad una scelta dei siti ed a un monitoraggio che, se fatto da istituti pubblici offre maggiori garanzie sia in termini di minor costo che di maggiori competenze, come richiesto anche dall’annesso due della Direttiva Europea CCS, pubblicata mesi or sono, oltre ad offrire maggiore affidabilità dal punto di vista dell’accettazione sociale”.

Fatto questo, sosgtiene Quattrocchi, “i privati potrebbero lavorare con regole, standard e prototipi che lo Stato detta, per la parte relativa alla realizzazione degli impianti per di stoccaggio, mentre la cattura ed eventualmente anche le pipeline di trasporto della CO2 rimarrebbero di pertinenza ingegneristica dei privati”.

In conseguenza di ciò i privati avrebbero anche maggiori garanzie sui costi, perché, ha detto Quattrocchi a Greenreport.it, “i privati si ritroverebbero così a gestire risorse certe (soldi di Stato per caratterizzazione sottosuolo prima e gestione strutture di stoccaggio di superficie dopo), messe a competizione tramite gare pubbliche e non sarebbero costretti a dover anticipare grandi quantità di denaro per studi di fattibilità preliminari, rapporti con le autorità locali, ambientalisti e assicurazioni: di tutto questo si occuperebbe lo Stato che metterebbe a gara per i privati ed in fasi diverse: studi di fattibilità siti, competenze di comunicazione strategica con le popolazioni/autorità locali, messa in opera di tubi, compressori e pozzi, gestione sito stoccaggio in superficie, caricandosi lo Stato i rischi, i rapporti con i politici “changianti”, le assicurazioni, il monitoraggio di breve e lungo termine”.

 A quel punto, prosegue Greenreport.it sempre citando Fedora Quattrocchi, “un investitore moderno e lungimirante, non deve rischiare più con le banche, e sempre giustificare che lui è piccolo o e grande, ma vincerebbe la sua gara pubblica avendo subito soldi certi e sicuri e non a rischio, basta che il curriculum (direzione tecnica) che valga, per le aziende piccole e dinamiche come per quelle grandi, perchè non sono più richiesti i capitali di investimento e recupero dai danni possibili dello stoccaggio: il gestore rimarrebbe gestore delle parti in superficie, es. con pressioni di pompaggio via via accordate con lo Stato e senza più rischi. La responsabilità dei danni (micro-sismicità indotta, etc… ) rimane dello Stato”.

“I privati sarebbero avvantaggiati dal fatto che gli standard altamente scientifici (ma non ridondanti, tipici delle proposte private) del monitoraggio e sarebbe semmai lo Stato ad accollarsi gli eventuali rischi che lo stoccaggio geologico profondo potrebbe comportare. I siti di stoccaggio sono da considerarsi beni primari, come gli acquiferi e quindi bisogna operare con la massima accuratezza, per questo è bene che il monitoraggio dei siti lo facciano gli Istituti pubblici. I privati potrebbero operare in un primo momento solo sulla parte relativa alla cattura-infrastrutture, e poi solo in un secondo momento quando cioè tutta la struttura sarà a regime dopo dalle periodo ricerca e sviluppo, potranno anche gestire i sistemi in profondità.”

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