ROMA – Stefano Cucchi muore a 31 anni nel reparto di Medicina Protetta dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma, sei giorni dopo il suo arresto. E’ il 22 ottobre 2009 e lui è la 148/a persona che, in quell’anno, perde la vita in un carcere italiano. A fine 2009 le vittime arriveranno a quota 177. Da questa tragico conteggio trae il titolo il film-documentario sulla morte del giovane romano che domani sera sbarcherà al Festival del Cinema di Roma, nella sezione Eventi speciali.
Il documentario-denuncia, dal titolo, ”148 Stefano mostri dell’inerzia” sarà presentato al pubblico nella Sala Petrassi. Il regista è Maurizio Cartolano, l’autore è un giornalista romano Giancarlo Castelli, i produttori sono Simona Banchi e Valerio Terenzio per Ambra Group. La tesi dell’opera è tanto facile a dirsi quanto difficile da accettare: ”Negli ultimi sei giorni della sua breve vita a Cucchi sono stati negati tutti i diritti. Il documentario è un tentativo di fare della sua vicenda Cucchi un atto di denuncia”.
Una denuncia che prende le forme del racconto per immagini e che si articola attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti: i genitori di Stefano, sua sorella Ilaria, il suo avvocato e tanti altri. ”Questo documentario fa emergere un ritratto fedele di mio fratello – commenta Cucchi – una persona normale che nella sua vita ha sbagliato, ma che per questi errori ha pagato troppo. Grazie a strumenti del genere la sua vicenda potrà sopravvivere al processo”.
Per Ilaria Cucchi, ”i tempi del processo sono ancora lunghi. Tra una o due udienze ci sarà il momento clamoroso in cui verranno ascoltati periti che sosterranno tesi palesemente contrarie alla realtà: che Stefano sarebbe morto anche a casa sua. La speranza è che vada tutto a monte per ricominciare con dei presupposti più veritieri”.
Nel film-documentario, le riprese dei testimoni narranti, e degli spazi urbani della città di Roma, dove i fatti sono avvenuti, sono alternati a drammatizzazioni ricostruite con la tecnica del rotoscoping, della videografica e con l’ausilio di voci fuori campo.
”L’uso dell’animazione – spiega Cartolano – ricostruisce alcuni momenti, i principali, degli ultimi giorni della vita di Stefano suggestionando con la sua figurata ‘irrealtà’ di bianchi, neri e rossi un irrinunciabile rispetto della sua immagine nella tragedia”.
Giancarlo Castelli è stato tra i primi giornalisti ad occuparsi della storia di Stefano Cucchi. E, alla vigilia della proiezione del suo ‘piccolo capolavoro’, racconta: ”Andai al funerale di Stefano e da allora iniziai ad interessarmi della sua storia, la seguii per lavoro, mi ci appassionai e alla fine pensai di realizzare un documentario per poterla raccontare”.
A distanza di oltre due anni dalla morte di Cucchi, Castelli definisce la vicenda ”un’odissea, un caso di omertà di Stato, in cui tre istituzioni (carabinieri, amministrazione penitenziaria e sanità pubblica) non hanno ammesso niente. Stefano è morto, ma non è mai stato chiarito come. E’ morto per bradicardia, per un cuore che rallenta, ma perche’ questo cuore rallenta ancora nessuno ce lo spiega”.