ROMA – È morto Franco Zeffirelli. Il regista si è spento nella sua casa a Roma. Aveva 96 anni. Lunedì 17 giugno ci sarà la camera ardente in Palazzo Vecchio a Firenze.
Studente all’Accademia di Belle Arti e alla Facoltà di Architettura della sua città, Zeffirelli nel 1946 si trasferì a Roma dove esordì come attore di cinema e di teatro, e dove ebbe l’incontro che gli cambiò la vita: quello con Luchino Visconti. Iniziò così una carriera artistica lunga 60 anni, che lo ha eletto uno degli uomini di spettacolo più noti al mondo, capace di passare con grande facilità dal cinema al teatro, alla tv, premiato con innumerevoli riconoscimenti, tra cui ben cinque David di Donatello, due Nastri d’argento e ben 14 candidature dei suoi film agli Oscar, tra cui due personali (per ‘Romeo e Giulietta’ nel 1968 quale miglior regista e per ‘La Traviata’ nel 1982 per la migliore scenografia).
Nel 2008 Franco Zeffirelli aveva manifestato la volontà di lasciare alla città di Firenze l’intero suo archivio dove – aveva spiegato – aveva ”raccolto per i miei spettacoli di lirica, di teatro e di cinema nell’arco di sessant’anni”. A distanza di quasi dieci anni da quella dichiarazione, il 1° ottobre 2017 ha aperto a Firenze il Centro per arti dello spettacolo – Fondazione Franco Zeffirelli onlus, ospitato nel complesso monumentale di San Firenze, già sede del Tribunale.
Giovane bellissimo, poi dandy raffinato ed elegante, infine gentiluomo anziano e solitario, Zeffirelli resta un testimone isolato di una civiltà ormai scomparsa. Da qualche anno si era rinchiuso in un quieto silenzio, circondato dall’affetto di pochi amici e dei suoi cani nella bella casa romana e nella villa sulla costiera amalfitana. Ha sempre sognato uno spettacolo al servizio di grandi interpreti, di grandi spazi, di lussuose confezioni. Da fiorentino purosangue ha immaginato una cultura italiana ancora rinascimentale, intrisa di gusto antico e di eleganti riferimenti al passato. Ha voluto un’Italia dell’arte e del bello capace di conquistare ancora il mondo, e più di una volta ci è riuscito, pagando però il prezzo dell’isolamento e di un passatismo scambiato spesso per arroganza aristocratica.
Senza Visconti, probabilmente il giovane orfano (il padre non lo aveva riconosciuto, la madre morì quando era bambino) non avrebbe calcato i palcoscenici più famosi, non sarebbe diventato amico e confidente di stelle come Maria Callas o Richard Burton, non avrebbe potuto debuttare dietro la cinepresa già nel ’57 (con ‘Camping’) dopo un tirocinio che lo aveva affiancato a Francesco Rosi nella lavorazione di ‘Senso’ (1954).
Lo hanno descritto come un calligrafo, un esteta, uno scenografo vestito da regista. E invece onestà vuole che si ricordi il suo vibrante documentario sull’alluvione di Firenze (1966) con la voce narrante proprio di Burton e poi una coppia di successi spettacolari come ‘La bisbetica domata’ (che nel ’67 riunì Burton e Liz Taylor) e ‘Romeo e Giulietta’ (1968). Il nume tutelare era la penna di William Shakespeare, sua la lingua che aprì al regista italiano le porte della fama internazionale, tutti italiani il gusto e la cultura che rivitalizzavano le due grandi tragedie elisabettiane.
Quattro anni dopo l’operazione si ripete nel nome di San Francesco con ‘Fratello sole, sorella luna’ (1972). Ormai Zeffirelli è una star, eppure un pregiudizio negativo lo accompagnerà sempre per il suo gusto anticonformista di smarcarsi costantemente dalle correnti del pensiero dominante. Polemico, feroce nei giudizi, scoperto nelle fragilità personali (compresa un’omosessualità vissuta senza clamori, ma senza compromessi), orgogliosamente fazioso, dalla politica allo sport, Zeffirelli si riterrà a lungo uno straniero in Italia. L’altra sua anima è quella cattolica, che trova le radici nel magistero di Giorgio La Pira, carismatica figura della fede in politica che fu suo istitutore al convento di San Marco. Non era certo uno sperimentatore Zeffirelli, eppure proprio nel ’74 si cimentò con la tv filmando la cerimonia dell’Anno Santo e poi, due anni dopo, firma per la Rai, il kolossal ‘Gesu” con Robert Powell nei panni del Cristo.
Ma appena poteva si rifugiava in teatro, dimostrandosi insuperabile come custode dell’allestimento classico per l’opera lirica. La sua ‘Aida’ verdiana ha fatto storia, ripetutamente è stato chiamato ad aprire la stagione della Scala. E’ come se questo secondo amore avesse avuto tutte le sue energie da quel punto in poi. Non ha abbandonato il cinema, ma sono rari i titoli successivi capaci di fare storia, dal contestato ‘Il giovane Toscanini’ a un modernissimo ‘Amleto’ che meriterebbe rivisitazione critica.
Dagli anni ’90 la sua firma si fa più rada. Nel ’94 entra in Parlamento, eletto senatore a Catania nelle liste di Forza Italia, confermandosi due anni più tardi. Anche nella cultura liberale il suo anticonformismo disturba più d’uno e le sue proposte per la cultura e per l’ambiente non hanno seguito. I riconoscimenti che scandiscono la sua carriera sono relativamente pochi rispetto al grande successo conquistato: c’è da riflettere sul fatto che nessun grande festival, neppure l’Oscar abbia voluto riconoscere il suo indubbio talento. (Fonte: Ansa, La Nazione)