Il primo western dei Coen è molto più che un remake del film che quarantadue anni fa consegnò a John Wayne il suo unico Oscar. La nuova pellicola firmata dagli autori di “Fargo” è infatti una geniale rilettura del racconto di Charles Portis (“Un vero uomo per Mattie Ross”) impreziosita da un cinismo irriverente e stilettate di humour nero capaci di ridefinire il genere per antonomasia del cinema americano.
Il Grinta dei Coen, senza rinunciare a sparatorie, impiccati e inseguimenti a cavallo, trasuda infatti un senso di cupezza che demitizza – esattamente come negli “Spietati” di Clint Eastwood – l’aura eroica del West. La coppia di cineasti gioca così ad annullare la distanza tra eroi e antagonisti, affidandosi ad una descrizione “dark” dei topoi classici del western. Il tutto mescolando scene ad alto tasso di violenza e dialoghi sempre molto efficaci.
La trama, nonostante le enormi differenze rispetto al Grinta di Wayne, è la stessa del film diretto dal 1969 da Henry Hathaway. La quattordicenne Mattie Ross (interpretata da una straordinaria Hallee Stanfield al suo esordio sul grande schermo) è decisa a vendicare la morte del padre assassinato da un balordo di nome Tom Chaney (Josh Brolin, già protagonista di “Non è un paese per vecchi”), fuggito di città per unirsi ad una banda di rapinatori. Per questo la ragazza decide di ingaggiare il marshall Rooster “Grinta” Cogburn (Jeff Bridges). Un attempato sceriffo guercio, burbero e alcolista. Ma con la fama di essere il miglior cacciatore di taglie in circolazione. Solo Cogburn sarebbe infatti in grado di ritrovare il fuggitivo negli impervi territori degli indiani Choctaw. E così il Grinta, assieme alla testarda Mattie e al Texas Ranger Laboeuf (Matt Damon), parte alla ricerca di Chaney…
Al di là del racconto, il film dei Coen convince soprattutto per la splendida ricostruzione delle terre selvagge, per i dialoghi taglienti ed un cast ai limiti della perfezione. Un western dominato da personaggi imperfetti e per questo ancora più affascinanti. Oltre alla sorprendente Hailee Steinfeld, candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista, non può che lasciare sbalorditi l’interpretazione di Bridges, in grado di offuscare il Grinta di John Wayne.
Il personaggio di Bridge è un perfetto antieroe, rude, imbolsito e arrabbiato con il mondo intero. Un outsider malinconico e al contempo coraggioso oltre ogni immaginazione (da brividi la corsa di Cogburn sotto un cielo stellato con Mattie tra le braccia), emblema di un mondo ormai in decadimento. Riuscitissima anche l’interpretazione di Matt Damon nelle vesti del ranger sbruffone e machista, così come le brevi comparsate di Josh Brolin e Barry Pepper nel ruolo di “Lucky” Ned Pepper che nell’originale fu di Robert Duvall. L’ottima fotografia Roger Deakins e l’incalzante colonna sonora di Carter Burnwell fanno il resto.
Ignorato sia ai Golden Globes che agli Academy Awards 2011 nonostante dieci nominations, il Grinta dei Coen può considerarsi a tutti gli effetti uno dei migliori western degli ultimi 20 anni. Originale, cinico, crepuscolare. Siamo certi che Sergio Leone se ne sarebbe innamorato. Nient’altro che un capolavoro.
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