ROMA – I Documenti del Pentagono, le carte segrete la cui pubblicazione segnò l’inizio della fine per gli Usa della guerra in Vietnam. Cosa c’è dietro la scena finale del film The Post con Meryl Streep e Tom Hanks, nelle sale italiane dal 1 febbraio? Una rete clandestina di distribuzione delle migliaia di pagine trafugate dagli uffici della Rand Corporation (mega società di consulenza americana, 1,775e dipendenti in 49 Paesi) fotocopiate in gran segreto da due funzionari, Daniel Ellsberg (ex marine e storico) e Anthony Russo.
Russo è morto nel 2008 ma Ellsberg, ormai quasi 87 enne è una figura di primo piano nel film. L’effetto della massiccia distribuzione di dossier è in una delle scene finali del film The Post, quando il direttore del giornale, Ben Bradley (Tom Hanks) sciorina sul tavolino del salotto una serie di esemplari dei principali giornali americani, in tutto 19, tutti con ampie citazioni dei documenti trafugati. Della rete clandestina si ha un’idea, nel film, quando una ragazza vestita alla moda degli hippies deposita una scatola da scarpe con migliaia di fotocopie sul tavolo di un esterrefatto redattore.
Dietro c’era qualcosa di più. In occasione dell’uscita del film il New Yorker ha pubblicato una intervista a Gar Alperovitz, che organizzò il network. Gar Alperovitz nel 1971 aveva 35 anni, oggi ne ha 82 e conserva l’aspetto di chi dopo quasi mezzo secolo ha la consapevolezza di avere fatto il proprio dovere. Di Gar Alperovitz non c’è traccia nel film, focalizzato sullo scontro di potere fra i giornali americani e la politica. Presidente degli Usa era in quel momento Richard Nixon, eletto per reazione al caos del ’68 ma di tale istintiva antipatia da costituire un bersaglio più facile dei mitici Lyndon Johnson e John Kennedy, più di lui responsabili della guerra in Vietnam. Anzi Nixon ha il merito di avere posto termine alla guerra.
Lo scandalo del Watergate (vedi sotto) lo travolse e le bestemmie e le oscenità da lui stesso registrate ai fini della storia lo hanno consegnato come un pessimo soggetto. Già allora, nella campagna elettorale del 1968, un manifesto che parafrasava il fortunato film western di Sergio Leone Il bello, il brutto, il cattivo lo consegnava in un fotomontaggio e per sempre al ruolo di cattivo. Anche in The Post Nixon appare come una figura losca di reazionario tramista. Nobile figura femminile attorno a cui ruota il film è invece quella di Catherine Graham, editrice del giornale Washington Post.
Il nome della Graham e del Post sono passati alla storia in relazione allo scandalo del Watergate. Sono stati un mito per più di una generazione di giornalisti, anche se i meriti di investigatori dei due protagonisti dello scoop, Woodward e…, sono stati un po’ ridimensionati, agli occhi dei più accorti, dalla rivelazione che si trattava di spiate da parte del vice capo dell’Fbi. Costui, Mark Felt, (su di lui è stato anche fatto un film uscito nel 2017, finora non uscito in Italia) era furioso contro il presidente Richard Nixon che gli aveva preferito, nella successione al capo, Edgard Hoover, un suo compare di partito. Per vendicarsi, Frey aveva rivelato al giornale i retroscena della irruzione di una squadraccia nota come “the plumbers”, gli idraulici, al servizio di Nixon nel quartier generale del Partito Democratico, per installare microspie. Era la faccia reazionaria del 1968. Ma questa è un’altra storia.
All’attivo dei plumbers/idraulici c’erano varie iniziative illegali. Tra queste la irruzione nello studio dello psichiatra che aveva in cura Daniel Ellsberg, colui che materialmente copiò, con l’aiuto di Frank Russo, i documenti del Pentagono. Quella invasione, alla ricerca di dossier compromettenti per Ellsberg, gli valse l’assoluzione al processo per la fuga di documenti coperti dal segreto di stato. L’irruzione degli uomini di Nixon nello studio medico avrebbe potuto portare alla eliminazione di documenti rilevanti e compromettere la difesa di Ellsberg, stabilì il giudice. Un altro giudice aveva già sentenziato a favore della libertà di stampa.
L’intervista fatta da Eric Lichtblau a Gar Alperovitz apre un importante spiraglio nel retroscena che portò agli eventi narrati nel film.
La consegna alla redazione del Washington Post è stata uno di circa una dozzina di incontri clandestini con i giornalisti che Alperovitz ha organizzato nel’arco di tre settimane, quando insieme a un piccolo gruppo di altri attivisti contro la guerra hanno aiutato Daniel Ellsberg a eludere un uomo dell’F.B.I. e distribuire i Pentagon Papers a diciannove giornali. Ellsberg è stato aiutato da circa sei volontari le cui identità sono rimaste segrete per 46 anni. Ellsberg ha riconosciuto che il ruolo occulto di questo gruppo, per l’operazione era talmente cruciale da dare un nome in codice: The Lavender Hill Mob, L’incredibile avventura di Mr. Holland, dal nome del film del 1951 su uno sgangherato quanto dilettante gruppo di rapinatori di banche.
Ma ora, per la prima volta, Alperovitz ha accettato di rivelarsi. Molti altri membri del gruppo desideravano rimanere anonimi o rifiutavano di concedere interviste. Un’ex studentessa laureata a Harvard che ha svolto un ruolo importante – ha nascosto i documenti nel suo appartamento e ha organizzato dei nascondigli per Ellsberg – ha pensato di farsi avanti, ma dopo aver consultato gli avvocati, alla fine ha deciso di evitare. In possesso della green card, temeva che l’ammissione del suo coinvolgimento comportasse l’espulsione da parte dell’amministrazione Trump. Resta tuttavia orgogliosa del suo ruolo. “Sono stati giorni straordinari”, ha detto. “Si trattava di mettere in discussione il governo ed essere contro il governo. Ero molto, molto arrabbiata per ciò che stava accadendo in Vietnam”.
Alperovitz ha detto che il rinnovato interesse per i Pentagono Papers, solecitato da “The Post”, lo ha spinto a rivelare finalmente il suo ruolo, ma ha anche accennato al clima “molto pericoloso” della presidenza Trump. Storico ed economista politico, i suoi scritti si sono concentrati sui pericoli della guerra nucleare e sulla disuguaglianza economica, Alperovitz ha sostenuto che i discorsi “scandalosi e destabilizzanti” di Trump sulla Corea del Nord lo hanno spinto a raccontare la sua storia e “ricordare alle persone che è tempo di agire”.
“Stavamo cercando di fermare la guerra. In questo non mi sento un eroe, ma ho sentito che era importante agire. Tante persone morivano inutilmente, molte altre rischiavano cercando di porre fine al conflitto e io ero una di queste”.
Ellsberg ha riferito a Eric Lichtblau che in particolare Alperovitz, organizzando la distribuzione ai giornali è stato “fondamentale affinché le cose funzionassero”. Ellsberg inizialmente, aveva consegnato i documenti solo a Neil Sheehan, un giornalista del Times, che pubblicò il primo articolo sui Pentagon Papers, pubblicato in prima pagina il 13 giugno 1971. L’amministrazione Nixon ottenne rapidamente un’ingiunzione affinché il Times non continuasse a pubblicare i documenti ma è stato Alperovitz a escogitare la strategia di distribuire i documenti a quante più testate giornalistiche possibile, tra cui il Washington Post, un approccio che in seguito si è rivelato cruciale sia dal punto di vista giuridico che pubblico. Ed è stato Alperovitz a elaborare le tecniche per far passare i documenti ai giornalisti sfuggendo così alle autorità.
Il pericolo corso dal Lavender Hill Mob non va sottovalutato. Alperovitz, se identificato, “sarebbe stato incriminato in un batter d’occhio” ha detto Ellsberg. I funzionari di alto livello della Casa Bianca di Nixon erano ossessionati: volevano arrestare e screditare Ellsberg e alcuni suoi complici.
Avevano creato una squadra agenti di agenti operativi, nota come quella “degli idraulici”, che entrò con scasso nello studio dello psichiatra di Ellsberg per trovare informazioni che lo inchiodassero, un episodio precursore dello scandalo Watergate. In un documentario del 2010 “The Most Dangerous Man in America: Daniel Ellsberg and the Pentagon Papers”, Egil Krogh, uno degli agenti operativi, afferma che l’amministrazione era ossessionata dall’identificazione degli altri coinvolti nella fuga di notizie.
“Daniel Ellsberg ha lavorato da solo? Stava lavorando con altre persone? Era parte di una cospirazione? “, si chiede nel documentario Krogh, successivamente in prigione per il ruolo svolto nel Watergate. Gli agenti dell’F.B.I., e gli “idraulici” di Nixon, hanno inseguito delle piste da Los Angeles a Parigi.
Con sorpresa di Ellsberg, il Times pubblicò il primo articolo diversi giorni dopo. L’amministrazione Nixon si assicurò rapidamente un’ingiunzione per fermare la pubblicazione. Alcuni giorni dopo, con Alperovitz come intermediario, Ellsberg incontrò un reporter del Post nella stanza di un motel e gli consegnò l’intero rapporto top secret. Dopo che il giornalista fu andato via, Ellsberg e la moglie, che si nascondevano nel motel, videro in televisione che agenti dell’F.B.I. erano piombati nella sua abitazione per interrogarlo.
Il compito principale di Alperovitz era quello di ideare come distribuire i documenti al maggior numero possibile di agenzie di stampa. Ellsberg di solito comunicava ad Alperovitz quali giornali contattare, tra cui il Boston Globe, il St. Louis Post Dispatch, il Los Angeles Times, il Christian Science Monitor e Detroit Free Press, ma lasciò ad Alperovitz di mettere a punto i dettagli della logistica.
Alperovitz ha detto che ha improvvisato la consegna. “Ho inventato mentre procedevo. Non so come”. Fare in modo che i giornalisti s’interessassero ai documenti, i più ambiti negli Stati Uniti, era facile. Da un telefono pubblico chiamava la redazione della cronaca locale di un giornale, si identificava come Mr. Boston, un nome in codice cui fa qualche riferimento il film “The Post”, e offriva di condividere alcuni dei documenti. “Erano molto felici di prenderli. Tutti li volevano”, ha detto.
La parte più complicata è stata la consegna di centinaia di pagine di documenti senza essere scoperti. Alperovitz e la studentessa laureata ad Harvard reclutarono un gruppetto di studenti universitari, tutti ferventemente contrari alla guerra, per collaborare non solo a compiti banali, come ad esempio fare la spesa per Ellsberg, ma anche come staffette che consegnavano i documenti.