Fino all’ultimo indizio: recensione (senza spoiler) del film con Denzel Washington

di Giuseppe Avico
Pubblicato il 15 Marzo 2021 - 14:02 OLTRE 6 MESI FA
Fino all’ultimo indizio: recensione (senza spoiler) del film con Denzel Washington

Fino all’ultimo indizio: recensione (senza spoiler) del film con Denzel Washington

Ci sono voluti trent’anni perché il film Fino all’ultimo indizio, scritto da John Lee Hancock, nel 1993, vedesse la luce. O meglio, la luce più piccola dei televisori, perché in Italia il film la sala non l’ha vista, arrivando, invece, su diverse piattaforme di streaming come Amazon Prime, YouTube, Chili e via dicendo. È un periodo difficile questo, lo sappiamo. Lo è anche per la produzione/distribuzione cinematografica, soprattutto per un film come questo che ha una storia così lunga e travagliata.

Scritto nel 1993 da John Lee Hancock e destinato alla regia di Steven Spielberg, che rifiutò. Poi Clint Eastwood, Danny DeVito e Warren Beatty. Alla fine non se ne fece più nulla e la sceneggiatura finì nel cassetto. John Lee Hancock proseguì la sua carriera di sceneggiatore (Un mondo perfetto, Mezzanotte nel giardino del bene e del male) e quella di regista (The Blind Side, The Founder). Poi l’occasione di riaprire quel cassetto, rispolverare la sceneggiatura e curarne lui stesso la regia. Ora il film c’è, Fino all’ultimo indizio in Italia, The Little Things il titolo originale, con Denzel Washington, Jared Leto e Rami Malek.

Fino all’ultimo indizio: la trama

Los Angeles, 1990. Il vicesceriffo Joe Deacon viene mandato nella città degli angeli con l’incarico, non proprio esaltante, di raccogliere le prove di un omicidio. Quella che sarebbe dovuta essere una toccata e fuga, diventa invece una permanenza ben più lunga. Tra vecchi amici ed ex colleghi, Deacon viene coinvolto nell’indagine affidata al giovane detective Jim Baxter, ossia la caccia ad un serial killer di donne. Baxter e Deacon inizieranno a collaborare, ma la città e l’indagine stessa porteranno alla luce il lato più oscuro e segreto del vicesceriffo Deacon.

Un thriller atipico

Scrivere un film negli anni ’90 e realizzarlo trent’anni dopo significa fare i conti con il mercato cinematografico, quindi con quei trent’anni di cinema che hanno generato pellicole su pellicole: in poche parole, devi passare la prova della longevità della tua sceneggiatura, probabilmente ritoccandola dove serve. Se poi parliamo di thriller, allora devi saper giocare con un pubblico molto più abituato a questo genere, più abituato rispetto a trent’anni fa alle storie di serial killer. Pensiamo a Seven, Zodiac, Prisoners o alla serie tv Mindhunter, per citare solo alcuni dei prodotti più riusciti di questo genere negli ultimi trent’anni, allora la tua missione diventa subito più complessa. Cosa fare a questo punto? Ribaltare tutto, o quasi.

Fino all’ultimo indizio riesce a muoversi molto bene nel genere perché dal genere stesso raccoglie le caratteristiche fondamentali per parlare d’altro, o meglio, per spostare l’attenzione su aspetti più legati ai personaggi, al loro background, al loro cambiamento, piuttosto che concentrarsi con miopia solo sull’indagine che sta alla base. Se quest’ultima rappresenta un motivo d’interesse intrinseco al genere, giocare narrativamente con “tutto il resto”, che in questo caso è la cosa più importante, è la scelta azzeccata che rende il film molto più interessante e sfaccettato.

Parliamo comunque di un thriller, e questo è un thriller a tutti gli effetti, ma forse, e questa è cosa gradita, l’intento è quello di muovere i personaggi all’interno di una storia classica per raccontarne (più velatamente o meno) virtù, difetti e cambiamenti. Un thriller atipico, insomma, ma che di atipico ha solo il pregio di lavorare un po’ più a fondo, e non è poco. Questa, in fondo, è una peculiarità che accomuna i film sopracitati. Ma atipico, nei limiti, è anche il modo in cui la narrazione si prende i suoi tempi, ovvero come la trama si sciolga lentamente al servizio dei personaggi. Nulla è frenetico o talmente convulso da lasciarsi per strada qualcosa. Il ritmo è quello giusto, lasciando in balia il pubblico di una suspense crescente. Si ha la sensazione che possa accadere qualsiasi cosa in qualsiasi momento.

Giocare con i tempi e con il pubblico, dividendolo

Abbiamo appena detto che il film ha un ritmo lento, ma non per questo meno incalzante narrativamente. Questo perché sono i personaggi a fare il film, e non viceversa. John Lee Hancock ha saputo fondere gli anni ’90, neanche troppo idealizzati o sfoggiati come accade troppo spesso oggi con quelli ’80, con elementi più vicini al periodo corrente, creando in un certo senso un ibrido assolutamente gradevole senza pendere mai da una parte piuttosto che dall’altra. Ed è chiaro che la mano abbia dovuto rimodellare qualcosa della sceneggiatura originale, ed è giusto così, ma è evidente anche che la sceneggiatura sarebbe comunque risultata buona anche nel secolo scorso, prima di altri capolavori che hanno ridisegnato il genere.

Dunque, il film gioca con i tempi narrativi e di conseguenza con il pubblico, spesso anche accompagnandolo per mano sul marciapiede per poi lasciarlo solo in mezzo ad una strada trafficata. La pellicola gioca con le aspettative del pubblico, sorprendendolo, altre volte deludendolo volutamente. Il ritmo si alza, sta per succedere qualcosa, poi non succede nulla, o forse accade qualcosa che ci sfugge, qualcosa di piccolo, un dettaglio. E se il titolo originale è calzante, quello italiano decisamente meno.

Ma non è oro tutto ciò che luccica. Infatti, senza lanciarvi l’esca e portarvi allo spoiler, si può dire che il finale non brilla come tutto il resto, o meglio, si allontana dai canoni di un terzo atto votato allo scioglimento dei quesiti. Voluta o meno, questa è una soluzione che spiazza il pubblico, lo lascia veramente in mezzo alla strada come un cucciolo smarrito, con un po’ di amaro in bocca. E siamo sicuri che sarà anche e soprattutto per questo che il film spaccherà in due il giudizio del pubblico. Vedere per credere.

Denzel Washington mattatore assoluto, Jared Leto perfetto e Rami Malek…

Che Denzel Washington sia uno dei più bravi attori in circolazione è indubbio. La sua capacità di dar vita ai personaggi che interpreta con devozione e abilità è speciale, soprattutto, come in questo caso, quando si ritrova invischiato in un personaggio complesso e ambiguo. Il suo personaggio, infatti, è al centro di una storia che gli ruota attorno come la terra ruota attorno al sole. Ma esiste anche un lato che il pubblico imparerà a conoscere, passo dopo passo, rivelando qualcosa del personaggio che ne completa (almeno in parte) le fattezze. Una storia di personaggi, come detto in precedenza.

Dall’altra parte c’è Rami Malek. L’attore, forse ancora con le scorie di un Freddie Mercury per la testa, non convince, esibendo a favore di camera un’espressione sola con piccole variazioni lungo il film, e che risulta forse inadeguato, forse fuori contesto. Eppure, il suo personaggio è importante tanto quanto quello di Washington, perché ne è la naturale conseguenza, sicuramente il centro focale della pellicola. È il suo personaggio che sposta l’attenzione su ciò che il film vuole raccontare.

Ma se esistono due sponde, allora esiste anche un fiume che scorre inesorabile al centro. Ecco allora che Jared Leto, il principale indiziato nelle indagini, si dimostra in forma interpretando un personaggio indolente, irriverente, realistico e inquietante, perfettamente immerso nel suo ruolo. Quello che i tre sapranno mettere in scena è una sfida psicologia continua, giocata sul filo del rasoio dall’inizio alla fine, con ribaltamenti di fronte nei quali verrà da chiedersi chi sia davvero il gatto e chi il topo.

Fino all’ultimo indizio è un film consigliato. Un film capace di coinvolgere, anche attraverso un’ambientazione tanto affascinante quanto decadente, quella di una Los Angeles diversa da quella che conosciamo. Anche attraverso una regia di mestiere ma con qualche intuizione sopra la media. Anche attraverso una sceneggiatura solida, capace di raccontare qualcosa senza il bisogno di rendersi spettacolare ad ogni costo. Insomma, consigliato perché sicuramente capace, dopo la visione, di creare dibattiti più o meno accesi, segno che il film ha centrato il suo obiettivo.

Fino all’ultimo indizio: la scheda del film

  • Titolo originale: The Little Things
  • Anno: 2021
  • Genere: thriller, poliziesco, drammatico
  • Regia: John Lee Hancock
  • Soggetto – Sceneggiatura: John Lee Hancock
  • Fotografia: John Schwartzman
  • Montaggio: Robert Frazen
  • Musiche: Thomas Newman
  • Cast: Denzel Washington, Rami Malek, Jared Leto, Natalie Morales, Terry Kinney