Lunedì sera il canale pubblico inglese Channel 4 trasmetterà uno spot pro-aborto. La pubblicità è promossa da Marie Stopes International, un’organizzazione che offre consulenza e aiuto alle donne incinte.
Le polemiche sono state immediate: hanno protestato la Chiesa e le associazioni per il diritto alla vita. Ma nel Paese con il più alto numero di gravidanze tra le minorenne in Europa, Marie Stopes ribatte portando i suoi dati: “Lo scorso anno abbiamo ricevuto 350.000 telefonate. È chiaro che ci sono centinaia di migliaia di donne che vogliono e hanno bisogno di informazioni sulla loro salute sessuale e consulenza e accesso ai servizi”, ha dichiarato un portavoce dell’organizzazione.
L’accusa dei gruppi antiabortisti è che l’organizzazione abbia “interesse finanziario a incrementare la domanda di aborti”, puntando il dito sui 30 milioni di sterline che Marie Stopes riceve ogni anno per fnanziare le interruzioni di gravidanza.
L’associazione ProLife Alliance mette in guardia sul fatto che la pubblicità non fornisca “informazioni complete sullo sviluppo del feto, sulla procedura dell’interruzione di gravidanza, sui rischi e sulle eventuali alternative all’aborto”, mentre la Family Education Trust sottolinea come l’aborto sia “una tragedia personale per mamma e bambino”.
Tante polemiche anche sull’orario, dal momento che dopo il primo lancio introno alle 9 di sera, le altre messe in onda potranno avvenire in qualunque momento della giornata. Eppure in quei 30 secondi di spot incriminato la parola aborto non verrà neppure pronunciata.
Solo una domanda: “Sei in ritardo?”, in riferimento al ciclo mestruale, seguita da alcune “informazioni che facciano sapere alle donne a chi possono rivolgersi senza essere giudicate”, spiega Julie Douglas, direttore marketing della Marie Stopes. Malgrado le statistiche dicano che in Inghilterra una donna su tre avrà un aborto entro i 45 anni, l’argomento non viene ancora affrontato apertamente e discusso con obiettività”.
Nel 2008 gli aborti nel Regno Unito sono stati 215.975, dei quali 20.000 su donne provenienti dall’estero.