Aborto, la Corte di Strasburgo condanna Dublino: “Legge irrazionale, va cambiata”

Il Parlamento irlandese dovà introdurre una legge che indichi inequivocabilmente quando una donna, la cui vita è seriamente messa in pericolo dalla gravidanza, possa interromperla legalmente. Oggi infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato all’unanimità Dublino per non aver concesso a una donna malata di cancro di abortire. E questo anche se l’ottavo emendamento alla Costituzione, votato con un referendum nel 1983, prevede che in caso di accertato pericolo per la vita della madre, questa possa legalmente interrompere la gravidanza.

La donna in questione, una lituana che nella sentenza viene identificata solo con la lettera ‘C’, al tempo dei fatti era in via di guarigione da una forma molto rara di cancro e riteneva che la sua gravidanza potesse causare una recrudescenza della malattia. La donna temeva anche che il feto potesse aver subito danni a causa di alcuni esami clinici effettuati e controindicati per chi si trova in stato interessante. Non riuscendo ad avere in Irlanda un’opinione medica chiara sui rischi che correva, la donna aveva poi deciso di abortire in Inghilterra.

I giudici di Strasburgo, nella sentenza definitiva emessa dalla Grande Camera, hanno sottolineato che le procedure attualmente in vigore in Irlanda per far valere il proprio diritto a un aborto legale non sono né ”realistiche” né ”accessibili”. In particolare i giudici ritengono che i consulti medici siano ”inefficaci” perché se un medico esprima un’opinione favorevole all’interruzione di gravidanza rischia la detenzione.

La Corte ha invece ritenuto che la legge irlandese sull’aborto non abbia violato i diritti di altre due ricorrenti, anche loro costrette a recarsi in Inghilterra per interrompere la gravidanza, che volevano abortire per gravi motivi ‘sociali’ e non di salute. Nel valutare i loro casi i giudici di Strasburgo hanno sostenuto (11 voti su 17) che la legge irlandese ha bilanciato bene il ”diritto di queste donne al rispetto della loro vita privata con i diritti dei futuri nascituri” che quindi non c’è stata violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nella sentenza, la Corte ha inoltre evidenziato che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non sancisce in alcun modo un diritto all’aborto e che agli Stati deve essere garantito un ampio margine discrezionale nel regolare l’accesso all’interruzione di gravidanza e nello stabilire un equilibrio tra i diritti delle madri e quelli dei nascituri.

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