Andreas Lubitz, nessuno psichiatra avrebbe potuto prevedere disastro Germanings?

di Daniela Lauria
Pubblicato il 14 Aprile 2015 - 07:50 OLTRE 6 MESI FA
Andreas Lubitz, nessuno psichiatra avrebbe potuto prevedere disastro Germanings?

Andreas Lubitz, nessuno psichiatra avrebbe potuto prevedere disastro Germanings?

ROMA – Nessuno psichiatra avrebbe potuto prevedere, né tanto meno prevenire il disastro aereo Germanwings. E’ quanto sostiene Gary Greenberg, psicoterapeuta americano, in un articolo apparso sul New Yorker. È confortante, osserva lo psicanalista, pensare che Andreas Lubitz fosse un malato di mente. Ciò significherebbe, tra le altre cose, che medici sufficientemente arguti e preparati avrebbero potuto individuare il problema o per lo meno siano ora in grado di identificare altri potenziali Lubitz. Di qui la domanda da 300 milioni di dollari (tanti sono i soldi che la compagnia aerea Lufthansa rischia di sborsare per risarcire i famigliari delle vittime): il comportamento di Lubitz si poteva prevedere e, quindi, evitare?

Per Greenberg, che il male di vivere lo ha vissuto sulla sua stessa pelle, la risposta alla domanda è no, la psichiatria non poteva prevederlo. Greenberg è uno psicanalista controcorrente che da anni prova a grattar via lo smalto dai paludati protocolli scientifici: nel suo libro The book of woe. The DSM and unmaking of Psychiatry aveva messo in discussione quello che è il manuale di riferimento per gli psichiatri di tutto il mondo, arrivando a sostenere che la depressione spesso è un’invenzione della modernità per fare di un malessere congenito alla natura dell’uomo un male definito. Una malattia legittimata con nomi e sintomi riconoscibili e dunque catalogabili.

Secondo lui i disturbi mentali non possono essere diagnosticati in maniera attendibile. E la ragione è che spesso il giudizio dello psichiatra è quasi interamente basato sul self reporting, cioè su quel che gli viene riferito dal paziente. Informazioni che una persona preoccupata di perdere il proprio posto di lavoro, ad esempio, è perfettamente in grado di dissimulare. Su internet poi è pieno di siti che insegnano a mentire per superare questo genere di test. E anche se riuscissimo a inventare l’equivalente psicologico di un body scanner aeroportuale con cui verificare l’affidabilità degli equipaggi di volo, i risultati non sarebbero comunque attendibili nel predire quello che ognuno di loro farà in futuro.

All’indomani della tragedia Germanwings, mentre gli investigatori rovistavano tra le lamiere del volo 9525 sulle alpi francesi, fior fior di psichiatri da tutto il mondo frugavano nella vita privata del copilota Andreas Lubitz, mettendo insieme dettagli più o meno allarmanti: si è parlato di depressione, poi di sindrome burnout, di un cuore infranto, dei problemi agli occhi di Lubitz e infine di un disturbo d’ansia generalizzato per il quale gli erano stati prescritti sia ansiolitici che antidepressivi.

Elementi comunque non sufficienti a descrivere il profilo di un pazzo criminale sull’orlo di un omicidio-suicidio di massa. Perché, ci hanno spiegato gli stessi psichiatri intervistati da questo o quel giornale, di solito un soggetto depresso omicida tende ad uccidere persone a lui care (non estranei) e lo fa a scopo salvifico, ovvero per impedire loro di soffrire. Sbagliata allora sarà stata la diagnosi: il disegno folle del copilota di portare con sé alla morte altri 149 sconosciuti sembrerebbe più il frutto di una personalità abnorme, fortemente disturbata, in cui coesistevano narcisismo, grandiosità e delirio. E distratti sarebbero stati i medici che non ne hanno saputo cogliere i sintomi.

Ma è improbabile, secondo Greenberg, ritenere che anche la migliore valutazione psichiatrica potesse impedire il disastro Germanwings. A ben vedere, sottolinea l’autore, una persona su tre soddisfa i criteri per una diagnosi di disturbo psichico e più della metà ne soffre almeno una volta nel corso di una vita. Tant’è che secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di malattia (dopo quelle cardiovascolari) in tutto il mondo, Italia compresa. La verità è che non esistono soggetti propriamente detti sani di mente e persone deviate, non c’è la normalità tout court e la follia, ma esiste un continuum lungo il quale ci spostiamo tra stato di salute e stato di malattia. E ognuno di noi va incontro a momenti di tristezza prolungata o di perdita temporanea del proprio baricentro. Così come da ogni malattia si può guarire oppure evolvere verso complicanze inaspettate.

Pensare che tutti i comportamenti, anche quelli frutto della pazzia, siano prevedibili è utopistico. Anche perché i test psicodiagnostici non sono radiografie ma strumenti, più o meno efficaci, attraverso i quali convalidare ipotesi. Il ché ci riconduce all’annosa questione ontologica della psichiatria: se hai mal di gola e febbre un buon dottore concluderà che hai un’infezione batterica solo dopo apposito esame che evidenzia la presenza effettiva di uno streptococco. Valuterà i sintomi come segni di un disturbo e non come la malattia in sé. Questo discorso non vale però in psichiatria, dove i sintomi sono il male e il male comprende i sintomi.

Lufthansa però, dicono gli esperti, avrebbe dovuto sapere che Lubitz non era persona idonea a cui affidare la vita di 149 persone. I sintomi c’erano, tant’è che nel 2009 fu lo stesso pilota ad informare la scuola di formazione della compagnia aerea di “un grave episodio depressivo poi rientrato“. La cura evidentemente ebbe i suoi effetti perché Lubitz ottenne la licenza per volare e divenne pilota Germanwings. E non c’è psichiatra che avrebbe potuto certificare altrimenti, perché il controllo sociale esula di gran lunga dai suoi compiti.

Ogni giorno, osserva Greenberg, professionisti della salute mentale vengono chiamati a fare previsioni per aiutare un datore di lavoro a scegliere il candidato che risponda meglio al profilo ricercato per una determinata posizione o per facilitare il sistema giudiziario a decidere se un criminale è a rischio recidiva. Ogni volta sono previsioni basate su una buona dose di intuito ed esperienza oltre che di statistica. Ma in quanto tali fallibilissime. Se persino ai metereologi, con i loro supercomputer satellitari e i loro complessi modelli fisico-matematici, è concesso un certo margine di errore. Figurarsi agli psichiatri.

Oltretutto, chiarisce Greenberg, il tasso di criminalità tra le persone affette da disturbi psicotici anche gravi, come la schizofrenia, non è più elevato rispetto al resto della popolazione. E la maggior parte delle persone che hanno manifestato pensieri suicidi poi non si ammazzano veramente, tanto meno si vanno a schiantare con un aereo carico di sconosciuti.

Esistono per carità, disturbi mentali gravi che dovrebbero escludere a priori certe persone dal ricoprire talune posizioni. Una persona incline al delirio probabilmente non dovrebbe pilotare un aereo così come un pedofilo non dovrebbe insegnare ai bambini. Ma queste sono le eccezioni piuttosto che la regola.

Per quel che ne sappiamo finora, Andreas Lubitz non era uno di quei casi gravi ma piuttosto uno che, come milioni di persone ha pensato una volta al suicidio ed era entrato in cura per un disturbo dell’umore. Non era certamente un Anders Brevik o uno dei piloti dell’11 settembre: l’azione di un terrorista, per quanto folle e antisociale è comunque ascrivibile ad un quadro di motivazioni riconoscibili e perciò stesso prevedibili. Ma il gesto di Lubitz esula da ogni (pre)cognizione perché la depravazione dell’animo umano non può essere racchiusa in un contenitore incerto e aleatorio quale è la diagnosi psichiatrica. Non esistono, in sintesi, palle di cristallo e forse non sapremo mai cosa lo abbia spinto a portare con sé nel suo progetto di morte altri 149 innocenti.