CRACOVIA – Venduta la casa di Amon Goeth, il capitano delle SS e comandante del campo di concentramento di Płaszów, vicino Cracovia, dove per sadico divertimento sottometteva servi e prigionieri. La sua storia è stata raccontata in Schindler’s List di Spielberg.
Among Goeth, ha vissuto nella casa da febbraio 1943 a metà settembre 1944, quando era nel campo di lavoro a Plaszòw: ha supervisionato la morte di almeno 8.000 detenuti del campo e a molti ha sparato personalmente.
Pur essendo stata abitata dal sadico inquilino, la casa è stata appena venduta e il nuovo proprietario non sembra turbato dalla storia dell’abitazione.
Voglio che torni a essere la casa di una famiglia polacca “, afferma Artur Niemyski, che sta progettando di trasformarla in una villa di lusso.
“Per un periodo è stata occupata dai nazisti, come molte case della zona, ma ciò non dovrebbe influenzare in eterno la proprietà”.
Helen Horowitz, una giovane ebrea cameriera di Goeth, ha sperimentato personalmente il sadismo psicopatico del capitano. La trattava con ferocia, in un’occasione la costrinse a spiegare la presenza di una macchia inesistente su una manica dell’uniforme, la cui pulizia era un compito di Poldek, il ragazzino lustrascarpe.
Quando glielo fece notare, Goeth “mi colpì forte in faccia, al punto da perforare il timpano. Nelle orecchie sentivo le campane e detto:”mi dispiace, devo aprire la porta qualcuno sta suonando””, ricorda la Horowitz.
Goeth prese la testa di Helen e la colpì con una tale forza che il sangue sgorgava dal suo orecchio e non appena lo vide sembrà che fosse “sazio”.
“Porta fuori le chiappe! Sei una put*ana! Una criminale Yiddish!”.
A causa del pestaggio, Helen affermava di non esser potuta mai più andare in piscina e, in più aveva altre cicatrici tra cui una sulla gamba, provocata da una pugnalata di Goeth per non aver messo un posto in più a tavola.
In un’altra occasione, chiese al capitano di poter ricongiungersi alla sorella: per tutta risposta e come punizione le afferrò i seni:”Pensavo me li stesse strappando. Era un indescrivibile sadico”.
Goeth era di buona famiglia, aveva studiato agricoltura all’università e suo padre era un editore di successo a Vienna.
Alto 1,90 mt, spendeva più tempo nei campi di sport che in lezioni; lasciò l’università e come tanti altri giovani senza una vera direzione, fu attratto dal nazismo.
Nelle SS fece rapidamente carriera, aveva fama di essere un ottimo amministratore e un efficiente quanto sadico curatore dei ghetti ebrei.
Fu una scelta naturale spedirlo al campo Plaszòw di Cracovia: aveva 34 anni ed era estremamente qualificato per il ruolo di comandante, in particolare delle cameriere come Helen Horowitz, adatte alla classe media bene cui apparteneva Goeth.
Ma Helen non fu l’unica giovane ebrea a subire gli orrori nella casa di via Jerozolimska; ce ne fu un’altra, Helen Rozensweig, che più volte fu sottoposta alla violenza di Goeth.
Era insoddisfatto di come stirava la camicia e l’afferrò per i capelli, la schiaffeggiò e l’ammonì che era proibito piangere.
David Crowe, in una biografia su Oskar Schindler, ricorda il terribile destino di Lisiek, un giovane valletto che dopo una festa era andato nella stalla per provvedere a una carrozza per un’ospite.
Al suo ritorno, Goeth gli chiese il motivo per cui l’avesse fatto senza permesso. Lisiek, spaventato, non rispose. Goeth gli sparò e il giovane morì.
Ma eliminava le persone anche attraverso Ralph, il feroce cane da compagnia che Helen doveva nutrire e lavare.
“Ordinava al cane di mordere e Ralph, attaccava gli ebrei senza fermarsi”.
Nel film di Spielberg, le due cameriere, diventano una e lui ne sembra attratto ma nella realtà non era così.
L'”onore” di condividere il suo letto era toccato a Ruth Irene Kalder, un’attrice ed estetista di Wroclaw, Polonia, che ha vissuto con lui nel lusso, “si truccava tutto il giorno e metteva musica così da non ascoltare né sapere niente”, ricorda la Rozensweig.
E anni dopo, la Kalder, che prese il cognome Goeth pur non avendolo mai sposato, sostenne di sapere poco e niente di cià che realmente accadeva nel campo.
La villa era un mondo lontano dalle condizioni in cui vivevano nel campo gli ebrei, stipati in baracche fredde dove dilagavano malattie e pidocchi.
Il cibo era appena sufficiente a farli rimanere in vita e riuscire a lavorare nella cava. La mancanza di cibo li spingeva a cerca avanzi nella spazzatura, a volte le SS sparavano loro come se fossero dei ratti.
E, naturalmente, l’altra minaccia sempre presente era che morissero mentre il comandante praticava il suo “sport” preferito.
Ma la lussuosa vita di Goeth non sarebbe durata per sempre: alla fine della guerra fu catturato dagli americani, consegnato ai polacchi che lo processarono nell’agosto del 1946.
Quando gli fu mostrata la lunga lista di testimoni raccolti dall’accusa, disse:”Così tanti ebrei? Ci è stato sempre detto che erano stati tutti eliminati”.
Goeth, come tanti altri nazisti, si dichiarò non colpevole, affermò che eseguiva degli ordini e a uccidere erano stati altri, non lui.
Fu impiccato il 13 settembre 1946 e quando gli misero il cappio attorno al collo mormorò “Heil Hitler”.
L’amante di Goeth sopravvisse alla guerra ma successivamente si suicidò; le due Helen, invece, hanno raccontato al mondo gli orrori che avvenivano nella villa di Cracovia.
Come le case di altri assassini, anche questa dovrebbe essere rasa al suolo, non è un posto che può essere definito come casa, conclude il Daily Mail.