Eccidio di Cefalonia: a giudizio Alfred Stork, ex alpino tedesco di 89 anni

Militari nazisti

ROMA  – A 89 anni alla sbarra per l’eccidio di Cefalonia. Alfred Stork, all’epoca, era un semplice caporale dei ‘Cacciatori da montagna’ (Gebirsgjager) dell’esercito tedesco: è stato rinviato a giudizio il 19 ottobre dal gup del tribunale militare di Roma – il processo si aprirà il 19 dicembre – per aver ”concorso, anche partecipando materialmente alle operazioni di fucilazione, all’uccisione di almeno 117 militari italiani” della Divisione ‘Acqui’, tutti ”prigionieri di guerra”.

Un delitto che lui stesso aveva confessato, sette anni fa, nell’ambito di una delle inchieste aperte – e chiuse, con l’archiviazione – in Germania: Stork non fu mai incriminato perché a linea era di perseguire solo gli ufficiali con compiti di comando e non anche i semplici soldati. Nel suo interrogatorio Stork spiegava di essere stato uno dei ”10-12 componenti” scelti ”a caso” per far parte del plotone di esecuzione che uccise gli ufficiali della Acqui al termine dei combattimenti. Si tratta dell’esecuzione avvenuta il 24 settembre ’43 nei pressi della Casetta Rossa, dove complessivamente sarebbero stati uccisi 129 ufficiali (altri sette vennero ammazzati il giorno successivo per rappresaglia) da parte di due plotoni.

Quello di Stork, comandato da ”un tenente”, sparò  dall’alba al pomeriggio lasciando sul terreno ”73 ufficiali”, come afferma lo stesso imputato. Ad uccidere i rimanenti fu invece il secondo plotone, comandato da Otmar Muhlhauser, l’ufficiale che negli anni scorsi venne incriminato dalla procura militare di Roma e morì nel luglio 2009, mentre era in corso l’udienza preliminare nei suoi confronti. Proprio dalle indagini su Muhlhauser si è arrivati a Stork, che si è rifiutato di ripetere la sua confessione davanti ai magistrati italiani.

L’imputato è accusato del reato, punito con l’ergastolo, di ”Concorso in violenza con omicidio continuato commessa da militari nemici in danno di militari italiani prigionieri di guerra”. Un delitto commesso, come disse Stork agli inquirenti tedeschi, perché dopo la rottura dell’alleanza con la Germania ”gli italiani erano considerati traditori. Pertanto abbiamo dovuto sparare”. Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, è ”soddisfatto” perché con il rinvio a giudizio di Stork ”si è conclusa un’indagine importante, che è cresciuta con le ultime allegazioni documentali”. ”

Per fare luce sui crimini compiuti dai militari tedeschi a Cefalonia – ricorda De Paolis – ci sono stati finora, in Italia, due tentativi infruttuosi: uno nel dopoguerra, conclusosi con una sentenza istruttoria di proscioglimento e uno in anni recenti, nel 2009, finito con un provvedimento di non doversi procedere perché l’imputato è morto nelle more dell’udienza preliminare. Ora, per la prima volta, si arriva al dibattimento: finalmente avremo un processo, anche se tardivo. Sarà un processo molto difficile e complesso”, considerato il lungo tempo trascorso, ma ”doveroso, sia nel rispetto della legge che della memoria dei nostri militari barbaramente uccisi e dei loro familiari”.

Con il rinvio a giudizio dell’ex militare si riapre una delle vicende giudiziarie più lunghe e controverse del dopoguerra, che – a parte la condanna ‘simbolica’ inflitta dal tribunale di Norimberga al generale Hubert Lanz (12 anni, ma ne scontò solo tre) – ha visto concludersi in un nulla di fatto tutti i numerosi processi che si sono svolti in Italia e in Germania. Nessun colpevole per la peggiore strage compiuta dall’esercito regolare tedesco nei confronti dei militari italiani: secondo il consulente tecnico della procura militare di Roma, Carlo Gentile, si tende a ritenere che nell’isola greca morirono circa 2.300 soldati, un quarto in combattimento e gli altri fucilati dopo la resa; altri 1.500 affogarono nei naufragi delle navi con cui venivano deportati.

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