FRANCIA, PARIGI – È la storia di due ragazzi di banlieue sprofondati nell’abisso dell’estremismo e del terrore. Sono Cherif e Said Kouachi, i due franco-algerini di 32 e 34 anni, che ieri hanno insanguinato la Francia nella strage contro Charlie Hebdo.
Eppure, il primo era ben noto all’antiterrorismo di Parigi, condannato nel 2008 per aver partecipato alla filiera delle ‘Buttes-Chaumont’, cellula islamica del nord della capitale che tra il 2003 e il 2005 era impegnata nella recluta di combattenti per Al-Qaida in Iraq.
Nato nel 1982 a Parigi, passaporto francese, Cherif Kouachi – nome di battaglia Abu Issen – era anche finito in un’inchiesta tv trasmessa da France 3 nel 2005. Lo speciale tv, dal titolo ‘Piéces et conviction’, mostrava il giovane, allora aspirante rapper, che si diceva “pronto a morire per il martirio” in Iraq.
La polizia lo fermò poco prima della sua partenza per il Medio Oriente, con un biglietto aereo per Damasco e un manuale di istruzioni per l’uso del kalashnikov, la stessa arma con cui ieri ha decimato la redazione di Charlie Hebdo insieme al fratello maggiore.
Il suo avvocato dell’epoca, Vincent Ollivier, ricorda ‘Abu Issen’ come un “perdente”, che fumava hashish e consegnava le pizze per acquistarsi le dosi. Nel documentario sul terrorismo diffuso sulla rete pubblica nel settembre 2005, poco prima del suo arresto, Cherif non testimonia mai direttamente, ma attraverso citazioni, audizioni e disegni che mostrano come all’epoca fosse deciso a morire da martire.
Nel video, si presenta come uno “studente diligente” di Farid Benyettou, il “suo capo-predicatore” nonchè “emiro auto-proclamato”, nella filiera delle Buttes-Chaumont. Nel corso delle sue audizioni, Kouachi specifica il contenuto delle “lezioni di religione” del suo mentore.
“Farid mi ha detto che i testi hanno dato prova dei benefici degli attacchi suicidi. E’ scritto nei testi che è bene morire martire”. Nel 2008, arriverà la condanna a tre anni, di cui 18 mesi senza condizionale. Ma la detenzione contribuirà alla sua deriva estremista. “Mi ricordo di una visita nella prigione di Fresnes. Era chiuso, non parlava più, non era più lo stesso”, racconta il suo legale.
Nato nel settembre 1980 a Parigi, il fratello Said – occhi e capelli bruni, con una leggera barba, secondo la foto segnaletica diffusa dalle autorità – aveva un dossier giudiziario decisamente più ‘pulito’, con un semplice fermo di polizia.
Dopo la detenzione di Cherif, i due fratelli – abbandonati molto giovani dai genitori e cresciuti in una casa famiglia di Rennes – cercheranno di farsi dimenticare dall’intelligence transalpina, ritirandosi in campagna, nella regione di Reims. Appena due anni dopo però, il fratello minore verrà citato in un altro dossier giudiziario: il tentativo di evasione di Smain Ait Ali Belkacem, ex componente del Gruppo islamico armato algerino, condannato all’ergastolo per l’attentato alla stazione RER del Musée d’Orsay di Parigi, nel 1995.
Dopo una prima iscrizione nel registro degli indagati, Cherif – che ottenne un diploma da istruttore di educazione fisica – verrà scagionato. Il suo nome e quello del fratello scompariranno per sempre dai radar dell’intelligence, fino alla tragica giornata di Charlie Hebdo.