BARCELLONA – Prima l’autorizzano a diventare madre a 50 anni, poi le tolgono il bambino. Accade a Barcellona dove i servizi sociali del governo hanno ritirato la custodia del figlio ad una madre, a sette giorni dal parto, perché non ritenuta in grado di garantire l’integrità del piccolo. Il tutto avvenuto nonostante l’autorizzazione all’inseminazione artificiale da parte del centro medico che aveva anche compilato un rapporto psicologico favorevole alla madre.
La paziente si è rivolta nel 2008 al centro medico Teknon di Barcellona per avviare un trattamento di fecondazione, al costo di 8.000 euro, sottoponendosi ai controlli fisici e psicologici richiesti per questo tipo di intervento. Come alcune fonti del centro medico hanno confermato, “è stato seguito rigorosamente il protocollo di l’assistenza secondo le normative riguardanti i trattamenti di fertilità”. Lo studio, come riporta El Mundo, ha restituito risultati favorevoli alla fecondazione sia dal punto di vista fisico che psicologico. Le fonti confermano quindi che “la personalità della paziente non mostra disordini e non si identifica una causa per ritenerla non idonea alla fecondazione”. Il trattamento ha avuto successo e la donna ha dato alla luce il figlio con taglio cesareo, nove mesi dopo.
Sette giorni dopo il parto però, nel dicembre 2009, i medici hanno avvertito una “condotta da parte della madre che ha fatto scattare i protocolli stabiliti dalla Direzione Generale di cura per bambini e adolescenti”. I servizi sociali hanno rimosso la custodia del bambino per “minaccia” all’integrità del piccolo.
A tal proposito il Dipartimento della Salute ha costituito, il 21 dicembre 2009, un gruppo di lavoro composto da diversi specialisti, producendo il “protocollo dello studio e del trattamento della sterilità”, che definisce le linee guida da seguire da tutti i centri medici nei trattamenti di fertilità. Il documento specifica che sono escluse dall’inseminazione le donne che dimostrano “problemi di salute mentale che provochino una perturbazione di comportamento che possa influenzare negativamente lo sviluppo del bambino”. Inoltre, il protocollo prevede l’esclusione dal trattamento di pazienti con età “uguale o superiore a 40 anni”, un requisito che la donna in questione non rispettava, anche se il protocollo è stato pubblicato appena quattro giorni prima che partorisse. A 22 mesi di distanza, il bambino vive ancora separato dalla madre.