ROMA – Mongoli, perché l’orda non conquistò l’Europa: la pioggia. C’è un rovello antico che divide e fa impazzire gli storici: perché le orde mongole, guidate dal nipote di Gengis Khan arrestarono la loro marcia incontrastata verso l’Europa? Perché nel 1242, al’improvviso, lasciarono l’Europa centrale per tornare verso le steppe?
Finora, di fronte all’esercito più spietato, agile e organizzatissimo del mondo conosciuto, la giustificazione della presunta inespugnabilità delle roccaforti delle attuali Ungheria e Croazia non ha retto alla prova dei fatti. Nemmeno non meglio specificati ordini politici dalla casa madre trovano consenso.
Nicola Di Cosmo, professore a Princeton, ha formulato una teoria – ne scrive The New Scientist – che sembra aver risolto l’enigma: furono le cattive condizioni climatiche di quell’anno, soprattutto la pioggia incessante, a trasformare le pianure ungheresi in un immenso acquitrino, in una vasta palude impossibile da attraversare in battaglia per i formidabili cavalieri mongoli.
La pioggia di quel fatidico 1242 è “registrata” sugli anelli degli alberi: lì è la chiave per capire ciò che avvenne. Lo studio degli anelli di accrescimento delle querce dimostrerebbe che si susseguirono una serie di stagioni calde e asciutte fino al 1242, quando invece le temperature precipitarono e le piogge divennero torrenziali.
Le prime decadi del XIII secolo, calde e assolate, favorirono messi di grano rigogliose e vitali per il foraggiamento dei cavalli. Per questo i mongoli occuparono stabilmente le steppe russe.
Il motivo opposto, freddo e campi allagati, tagliarono letteralmente i viveri al’esercito in marcia. Alle soglie dell’Europa, il micidiale ordigno bellico proveniente dai confini orientali del mondo si inceppò.