ROMA – Non c’è solo Andreas Lubitz che continua a respirare tranquillo e a premere 15 volte il bottone della morte mentre l’altro pilota tenta di rientrare in cabina a colpi di ascia. Di piloti che impazziscono, più o meno improvvisamente, più o meno imprevedibilmente, ce ne sono stati diversi. E non sempre è finita così male come nella tragedia dell’airbus. Nel 2008, per esempio. Un aereo canadese vola verso Londra. E’ quasi arrivato a destinazione quando il pilota contatta la torre di controllo e pretende che gli sia passato Dio. Alla torre di controllo avranno pensato a uno scherzo. E invece il pilota è serissimo. Quando cercano di spiegargli che parlare con Dio non si può dà in escandescenze. Fortuna vuole che c’era il copilota e che sia lui, insieme alle hostess a mettere fuori combattimento l’improvvisato mistico. Finisce con un atterraggio di emergenza in Irlanda e un trasporto in ospedale con tanto di camicia di forza.
E’ uno dei diversi episodi raccontati in un libro con un titolo che è tutto un programma: “Piloti malati”, scritto da Antonio Bordoni, un esperto del settore che come scrive Luigi Grassia su La Stampa
denuncia «i tanti casi di incidenti, o mancati incidenti, dovuti a piloti in precarie condizioni di salute. E fra le molte patologie la più insidiosa è quella mentale».
Perché se i passeggeri dell’aereo canadese sono stati fortunati non si può dire la stessa cosa per tanti altri. 320. 29 novembre 2013: un pilota di un Embraer mozambicano resta solo in cabina di pilotaggio. Ha problemi familiari e decide di risolverli schiantandosi al suolo. Pagano la sua follia omicida in 33.
9 febbraio 1982. Un Dc-8 della giapponese Jal con 166 passeggeri inizia quella che sembra una normale manovra di atterraggio a Tokyo. Non è normale. Infatti il copilota urla all’improvviso: “capitano, che cosa sta facendo?”. Semplicemente il pilota estrae il carrello un momento anomalo, il copilota se ne accorge e chiede disperato cosa fare. Passano 50 lunghi secondi. Il copilota avverte il comandante che è arrivato il momento di decidere tra atterraggio o riattacco. Il comandante ha in mente un’altro piano: stacca il pilota automatico e praticamente “inchioda in volo”. Il co-pilota fa un tentativo disperato di prendere in mano la situazione ma l’aereo si schianta a 500 metri dalla pista. I morti saranno 24.
Piloti che impazziscono all’improvviso, insomma, come Lubitz. Il problema, però, è che non è sempre impossibile prevederlo. Di Lubitz e delle sue cure psichiatriche hanno scritto i giornali di tutto il mondo. Il quadro del pilota giapponese, se possibile, era ancora più compromesso: un anno prima dello schianto era stato sospeso per 12 mesi dal servizio per disturbi psicopatici, turbe depressive e allucinazioni. Poi era stato dato per guarito ed era tornato sui Dc-8. Fino alla decisione di atterrare un km fuori pista.
Poi ci sono i casi dubbi. Quelli in cui non c’è accordo sulla responsabilità da attribuire al pilota. Grassia ne cita diversi:
Il 21 agosto 1994 un Atr42 della Royal Air Maroc precipita subito dopo il decollo da Agadir: 44 morti. Gli investigatori propendono per l’incidente provocato deliberatamente dal pilota, tesi respinta dall’associazione dei piloti del Marocco. Il 19 dicembre 1997 un Boeing 737 della Silk Air in volo da Giacarta a Singapore cade provocando la morte dei 104 occupanti. La Ntsb americana propende per l’ipotesi del suicidio del capitano, non appena il co-pilota aveva lasciato la cabina di pilotaggio. Quel comandante aveva problemi finanziari. La tesi però viene contestata dagli investigatori indonesiani. Infine il 31 ottobre 1999 poco dopo il decollo da New York un Boeing 767 della compagnia EgyptAir precipita nell’Oceano Atlantico. Anche in questo caso il comandante era uscito dalla cabina di pilotaggio e secondo la Ntsb la tragedia è dovuta all’azione deliberata del co-pilota, ma le autorità egiziane non hanno mai accettato tale conclusione. La cosa certa sono i 217 morti.