MOSCA – Le Pussy Riot sono state condannate dal tribunale di Mosca a due anni di carcere per “teppismo motivato da odio religioso”. La loro leader però dice: “Abbiamo vinto comunque”. Anche perché rischiavano fino a 7 anni di carcere, quindi gli è andata anche bene…
La giudice Marina Sirova gli ha assegnato un anno in meno dei tre richiesti dall’accusa: Nadia Tolokonnikova, 22 anni, Maria Aliokhina, 24, ed Ekaterina Samutsevich, 30 da pochi giorni, resteranno in carcere per circa un anno e mezzo, dato che la pena viene calcolata dal momento dell’arresto, il 4 marzo scorso. Appena terminata la lettura del verdetto, fuori dal tribunale Khamovniki assediato da centinaia di giornalisti da tutto il mondo, sostenitori e detrattori della band punk femminista, è esploso un boato di protesta: “Fascisti!”, “Vergogna!” e poi “Brave, brave, libertà!” e applausi al passaggio del cellulare con a bordo il trio. Cinquanta i fermi.
Soddisfatti i militanti nazionalisti. Torvi i volti all’uscita dall’aula di Alexei Navalny, il blogger più noto dell’opposizione russa, preoccupati i familiari presenti, afflitte le giovani imputate tranne la leader Nadia, solita fierezza e aria di sfida in volto, che in mattinata aveva scritto ai sostenitori: “Abbiamo vinto comunque”. Battaglieri gli avvocati, che hanno promesso ricorso immediato, se necessario anche alla Corte Ue di Strasburgo: il legale Mark Feigin ha parlato di un “verdetto annunciato”, giudicandolo “una decisione esclusiva di Putin”. E ha definito la giustizia russa “strumento di violenza e di repressione”, aggiungendo che a Mosca “il potere è sordo”.
Immediata è arrivata la condanna di Stati Uniti e Europa, mentre le piazze di tutto l’Occidente si sono riempite di manifestazioni in solidarietà con le tre ragazze. Washington e Bruxelles hanno parlato di ”sentenza sproporzionata”, così come ha fatto la Farnesina. Molto più dura la cancelliera Angela Merkel, secondo la quale il verdetto “viola i valori europei”. Anche per l’Osce, quello che si è consumato oggi a Mosca è “un attacco alla libertà di parola”. Sconfitta la difesa delle tre ragazze, che aveva giocato tutto il processo sul caso politico. Per la giudice Sirova non di “protesta politica” si è trattato, ma di un’offesa voluta e programmata alla Chiesa russa e ai credenti, una “provocazione contro la fede”: a suo avviso, gli slogan anti Putin sarebbero stati aggiunti solo dopo alla performance originaria, nel videoclip diffuso su internet da ignoti e visionato da oltre 1,5 milioni di persone.
Nel testo di condanna Sirova ha usato un lessico con molti riferimenti al sacro e alla “tradizione religiosa del Paese” considerata “violata”, ma ha negato di seguire “il canone religioso” invece della legge russa: “qui vige la Costituzione dello Stato russo”. Piccolo scandalo “rivelatore” in mattinata: a lettura del verdetto appena iniziata, il sito di Komsomolskaia Pravda, quotidiano filo Cremlino, ha pubblicato la notizia della “condanna a 3 anni” per le Pussy Riot. Per poi farla “sparire” dopo la segnalazione indignata dei blogger. Conclusione amara, benché provvisoria, di un caso simbolo per l’opposizione russa, che getta l’ennesima ombra sull’avvio del terzo mandato di Putin al Cremlino ma anche sull’immagine di neutralità della Chiesa ortodossa, i cui vertici avevano invocato una punizione severa per il trio.
Apparente passo indietro, con un comunicato anonimo dell’Alto consiglio della Chiesa ortodossa: “Senza mettere in dubbio la legittimità della decisione della giustizia, chiediamo alle autorità dello Stato di dar prova di clemenza verso le condannate, nella speranza che rinuncino a ripetere questo genere di sacrilegio”. E ancora: “Bisogna separare il peccato dal peccatore, condannare il primo e sperare nel pentimento dell’ultimo. Dio cerca sempre la redenzione dei peccatori, e la Chiesa vuole riconciliazione”.
Il giudice ha iniziato la lettura del verdetto alle 13 e 20 circa: di fronte, tre spaventate giovani rocker di cui solo una portava una maglietta “ribelle”, con un pugno chiuso e la scritta “no pasaran”. Fuori dal tribunale eccezionali misure di sicurezza che non hanno impedito che risuonasse forte e insistente il coro Freedom to Political Prisoners.
Le Pussy Riot furono arrestate all’interno della cattedrale di Cristo Salvatore, luogo simbolo dell’ortodossia russa: le tre ragazze avevano intonato una preghiera contro la rielezione di Putin. Subito la vicenda ha catturato l’attenzione del mondo sulla repressione delle libertà civili. La performance delle Pussy Riot era libertà di espressione veicolata da strumenti artistici, o oltraggio e profanazione dei simboli religiosi russi.
In Europa e in Occidente non ci sono dubbi a proposito, mentre in Russia anche organizzare una protesta significativa può costare molto caro. A dar man forte a Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova e Yekaterina Samutsevich all’esterno del tribunale sono arrivate anche le colorate e svestite Femen. Dall’estero hanno raccolto la solidarietà del mondo del rock e della pop music, con in prima fila Madonna, Bjork e l’ex Beatle Paul McCartney.
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