Samuel Paty, il professore decapitato: la 13enne musulmana che lo accusava mentì: “Quel giorno non ero in classe”

di Caterina Galloni
Pubblicato il 14 Marzo 2021 - 11:00 OLTRE 6 MESI FA
Samuel Paty, il professore decapitato: la 13enne musulmana che lo accusava mentì. "Quel giorno non ero in classe"

Samuel Paty, il professore decapitato: la 13enne musulmana che lo accusava mentì. “Quel giorno non ero in classe” (foto Ansa)

Ha confessato di aver detto una bugia la 13enne che accusò Samuel Paty, il professore di educazione civica decapitato in Francia lo scorso ottobre.

La ragazzina di fede musulmana, allieva di Paty, aveva protestato sui social contro l’insegnante perché in classe aveva mostrato le vignette del quotidiano satirico Charlie Hebdo sul profeta Maometto durante una lezione sulla libertà di espressione e sulla blasfemia. Al padre aveva raccontato che Paty le aveva chiesto di uscire dalla classe perché musulmana.

Samuel Paty, la bugia dietro la decapitazione

Il video dell’adolescente era stato rilanciato dal padre sui social media, che aveva inoltre pubblicato l’identità, telefono dell’insegnante e l’indirizzo della scuola Conflans-Sainte-Honorine. Le affermazioni avevano sollevato indignazione nel mondo radicale musulmano e portato a minacce di morte nei confronti di Paty, ucciso 10 giorni dopo i commenti. Prima di massacrare il professore, l’assassino Abdoullakh Anzorov, 18 anni e rifugiato, era in contatto con il padre, c’era stato uno scambio di messaggi.

E’ stato ucciso a colpi d’arma da fuoco dalla polizia poco dopo l’omicidio. Ma l’adolescente ora ha ammesso di aver mentito per non deludere il padre, come ha riferito la BBC. La 13enne aveva affermato che Paty l’aveva sospesa perché aveva protestato mentre mostrava agli studenti le vignette del Profeta. Secondo quanto riportato da Le Parisien, la tredicenne non aveva detto al padre che era stata sospesa dalla scuola il giorno precedente, a causa delle ripetute assenze.

Parlando alla radio francese RTL l’avvocato della famiglia Paty ha detto che la famiglia della ragazzina sapeva che quel giorno non era in classe e perché era stata sospesa.

“Quindi, chiedere scusa per aver creduto alle bugie della figlia, è davvero debole”, ha detto Virginie Le Roy. Durante la campagna diffamatoria online, il padre dell’adolescente, Brahim Chnina, aveva definito Paty un “delinquente” e chiesto che fosse licenziato. L’omicidio di Paty, in Francia ha suscitato indignazione e portato a dibattiti sulla libertà di espressione e su come affrontare il terrorismo islamico. (Fonte: BBC e SUN)