ROMA – La notte del 26 novembre un terremoto di magnitudo 6.2 ha colpito l’Albania, causando 25 vittime e ingenti danni. L’epicentro è stato individuato tra la capitale, Tirana, e Durazzo. È la seconda scossa in pochi mesi che colpisce il Paese balcanico: già a fine settembre una violenta scossa (magnitudo 5.6), sempre originata tra Tirana e Durazzo, aveva causato danni e feriti ma fortunatamente nessuna vittima. Secondo il governo albanese una scossa forte come quella di settembre non si vedeva da trent’anni, e quella di novembre ha avuto un’intensità ancora superiore.
Ma che cosa causa i terremoti, in particolare nel Mediterraneo? Dove si concentrano le scosse sismiche? E quali sono stati i più violenti in Albania e in Italia?
Per capire l’origine dei terremoti dobbiamo prima di tutto spiegare rapidamente com’è fatto il nostro pianeta. Come spiega un chiaro opuscolo informativo della Protezione Civile, lo strato più esterno è la litosfera ed è composta da materiale rigido, al di sotto si trova la astenosfera, che è composta da rocce vicino al punto di fusione e che quindi sono più facilmente deformabili, e ancora più in profondità si arriva al nucleo incandescente del pianeta.
La litosfera è fratturata in quindici grandi zolle (o “placche”), più numerose altre zolle di dimensioni ridotte, che “galleggiano” sulla astenosfera, spesso ruotando su se stesse in senso orario o antiorario. Queste zolle possono avvicinarsi tra loro, allontanarsi o scorrere l’una accanto all’altra (zolle divergenti, convergenti e trasformi).
Dove i margini di due zolle si allontanano nascono le dorsali oceaniche. Lungo questi “strappi” nella litosfera, causati dall’allontanamento delle zolle, parte del materiale astenosferico (magma) risale verso la superficie e dopo il raffreddamento forma nuova litosfera.
Dove invece i margini di due zolle si scontrano, una delle due zolle finisce schiacciata verso il basso dall’altra e la litosfera che viene spinta in profondità – con l’aumento della temperatura – si fonde e forma nuova astenosfera. Se le zolle invece si limitano a scorrere una accanto all’altra, non si crea e non si distrugge litosfera.
Lungo i margini di contatto delle zolle litosferiche è concentrata gran parte dell’attività sismica e vulcanica che si verifica sulla Terra. La distribuzione dei terremoti (vedi mappa 1) marca in modo netto i confini tra le varie zolle.
Nel Mar Mediterraneo entrano in collisione – con movimenti che cambiano nel corso delle ere geologiche – la zolla eurasiatica e la zolla africana: le Alpi e gli Appennini in Italia sono nate appunto da questo scontro. Ma nel Mediterraneo non ci sono solo queste due placche.
Come si legge ancora nell’opuscolo informativo della Protezione civile, “la complessità dell’area mediterranea è probabilmente dovuta all’esistenza di una serie di microzolle interposte tra l’Africa ed Europa, con movimenti relativi parzialmente indipendenti da quelli delle due zolle principali”.
Tra queste possiamo citare la zolla adriatica, ritenuta responsabile ad esempio dei terremoti in Romagna del 2018 e 2019, la zolla egea, la zolla anatolica e quella araba. Al di là dei dettagli sul comportamenti delle placche, molto complessi, vediamo ora come da questi dipendano i terremoti.
Come nasce un terremoto
Le gigantesche masse di roccia della litosfera, come abbiamo visto, vengono sottoposte dai movimenti delle zolle a sforzi enormi che si accumulano nel corso di migliaia e milioni di anni, e di conseguenza si deformano.
Quando l’energia accumulata con la deformazione supera il punto critico di resistenza delle rocce, queste si fratturano e rilasciano l’energia accumulata. Per visualizzare il fenomeno possiamo pensare a un bastone che venga piegato fino a spezzarsi.
La frattura avviene in profondità, sotto terra, in un punto chiamato ipocentro. Da qui, attraverso gli strati di roccia circostanti, le onde causate dalla frattura (onde “di volume”, longitudinali e trasversali) risalgono fino a raggiungere la superficie. Il tipo di strati rocciosi che incontrano le onde sono determinanti per l’intensità del terremoto: gli strati poco rigidi (terreni sabbiosi e ghiaiosi) assorbono le onde e riducono l’intensità, gli strati rigidi (rocciosi) trasmettono quasi integralmente le onde agli strati superiori, fino alla superficie.
Raggiunta questa, in un punto che viene chiamato epicentro, iniziano a propagarsi le onde “di superficie”. Queste sono di due tipi: le onde di di Rayleigh e le onde di Love. Le prime sono, per capirci, del genere che potrebbe creare un sasso lanciato in uno stagno. Le seconde, quelle più pericolose per la tenuta degli edifici, fanno vibrare il terreno in direzione trasversale (a perpendicolo) e orizzontale rispetto alla direzione di propagazione delle onde.
L’intensità dei terremoti viene comunemente misurata in termini di “magnitudo”, cioè di energia meccanica sprigionata all’ipocentro. La scala di misurazione elaborata dal sismologo statunitense Charles Francis Richter è quella più nota, ma non l’unica.
I terremoti nel Mediterraneo
Il Mar Mediterraneo, dove si combinano i movimenti di due grandi zolle e di numerose altre zolle minori, è una zona fortemente sismica.
In particolare, le aree dove si sono concentrate le scosse più violente (magnitudo maggiore di 6) dal 1900 a oggi sono soprattutto il Mar Egeo e la penisola anatolica, seguiti dai Balcani, dalla penisola italiana e dalla costa nord-ovest dell’Africa.
In Albania, il recente terremoto (magnitudo 6.2) è il peggiore degli ultimi 120 anni dopo quello del 1967 (magnitudo 6.7).
In Italia dal 1900 a oggi si sono verificati una quindicina di terremoti di magnitudo superiore a 6. I peggiori restano quelli di inizio Novecento in Calabria (1905, magnitudo 7.2) e in Sicilia (1908, magnitudo 7), seguiti dal terremoto dell’Irpinia del 1980 (magnitudo 6.9). Di quelli recenti il più intenso è stato quello del 30 ottobre 2016 vicino a Norcia, con una magnitudo di 6.6.
I terremoti nascono dai movimenti delle zolle (o “placche”) della litosfera, che galleggiano sopra la astenosfera. Questi movimenti sottopongono a enormi sforzi gigantesche masse di roccia che a un certo punto si fratturano. La fratturazione sprigiona delle onde che raggiungono la superficie e si propagano, potenzialmente causando enormi danni alle strutture.
Il Mediterraneo è una zona fortemente sismica, vista la compresenza di due grandi zolle (africana ed euroasiatica) e di numerose zolle minori. Negli ultimi 120 anni la maggior parte dei terremoti nella regione si è concentrata tra Grecia e Turchia, ma anche i Balcani e l’Italia sono state interessate periodicamente da violente scosse.
Il recente sisma è il secondo peggiore degli ultimi 120 anni in Albania, dopo uno più potente nel 1967, mentre in Italia la magnitudo record (superiore a 7) raggiunta dai terremoti di Calabria e Messina a inizio Novecento non è da allora stata replicata.
Fonte: AGI.