ROMA – Tommy Mair, il killer di Jo Cox: sociopatico pro-apartheid. La foto che ritrae Tommy Mair, l’uomo che ha assassinato la deputata inglese Jo Cox che faceva campagna contro la Brexit, mostra un uomo magro, il volto affilato coperto da un berretto da baseball.
Poche sono le immagini, ancor meno le testimonianze dei vicini di casa: 49 anni, originario di Kilmarnock in Scozia, descritto come un uomo afflitto da disagio psichico ma tranquillo e senza particolari idee politiche, viveva solo in una casetta da vent’anni, da quando era morta la nonna con cui aveva diviso la casa altri 20 anni.
Ma quella mimetica indossata in occasione di quello scatto rischia di essere un indizio. E’ venuto fuori, attraverso fatture di acquisto, che nel 1999 comprò da National Alliance, organizzazione neonazista Usa, un manuale con istruzioni su come costruire una pistola. Per Southern Poverty Law Center, Mair era “un impegnato sostenitore” di National Alliance.
In rete le testimonianze descrivono un estremista di destra, addirittura abbonato a una rivista sudafricana pro-apartheid, il White Rhino Group. Ha sempre dovuto assumere farmaci, un lavoro di volontariato nel parco di Oakwell resta la sua unica occupazione in qualche modo stabile.
Spuntano anche sospetti di un legame fra Tommy Mair e un gruppo suprematista bianco, visceralmente ostile all’Europa e simpatizzante del vecchio apartheid sudafricano. Ne scrive oggi l’Independent online. Il gruppo in questione si chiama Springbok Club e Mair risulta citato nel database della rivista online che esso pubblica, la Springbok Cyber Newsletter, fin da 10 anni fa.
La sua ostilità a una società multietnica è stata purtroppo più che evidente nel momento in cui ha premuto il grilletto contro Jo Cox: ha urlato “Britain first” (Prima la Gran Bretagna), motto e nome di una formazione xenofoba costola degli estremisti del British National Party. Formazione specializzata nel promuovere ronde anti islamiche davanti a moschee o macellerie halal (corrispettivo di kosher).
Il fratello Scott, 49 anni, ha riferito tra le lacrime che l’uomo ha «una storia di malattia mentale», ma che nel corso degli anni «è stato aiutato» e non è stato lasciato solo. «Ho difficoltà a credere a quello che è successo», ha spiegato Scott, aggiungendo: «Mio fratello non è un violento e non è per niente politico. Non so neanche per chi voti». Prima di concludere, visibilmente scosso: «Ho pianto quando ho saputo. Sono così dispiaciuto per lei e per la sua famiglia». (Cristina Marconi, Il Messaggero)