DONETSK – I filorussi tornano all’attacco nelle regioni del Sud-est dell’Ucraina, occupando le sedi delle forze di sicurezza e facendo schizzare di nuovo alle stelle la tensione nel Paese. A Sloviansk, una città di circa 120.000 abitanti a 60 chilometri da Donetsk, insorti armati di kalashnikov e col volto coperto da passamontagna si sono impossessati del comando locale di polizia e della sede dei servizi segreti (Sbu), mentre a Kramatorsk e a Krasni Liman in serata ci sono stati degli scontri a fuoco tra filorussi e polizia.
Ma anche nel capoluogo della regione circa 200 manifestanti pro Mosca sono riusciti a fare irruzione nel comando di polizia costringendo il generale Kostiantin Pozhidaev a filarsela da un’uscita secondaria e a dimettersi. Il comandante dei servizi segreti di Donetsk, Valeri Ivanov, è invece stato silurato direttamente dal presidente Oleksandr Turcinov.
A preoccupare le nuove autorità ucraine non è solo il numero di edifici pubblici che cadono come birilli davanti alle incursioni di poche centinaia (o addirittura decine) di insorti, ma anche il fatto che i filorussi non incontrano quasi resistenza, e ci sono addirittura poliziotti che non esitano a decorare la propria divisa con la coccarda nera e arancione dei pro Mosca, il simbolo russo della vittoria.
Anzi, secondo i media locali le forze speciali che avevano ricevuto l’ordine di sgomberare gli edifici occupati dai filorussi a Sloviansk “si sono rifiutate di obbedire” e “sono tornate nella loro base a Donetsk”. La situazione per Kiev si fa sempre più pesante, e per cercare di venirne a capo il presidente Turcinov ha convocato stasera un Consiglio di sicurezza denunciando “un’aggressione da parte della Federazione russa”.
Le nuove autorità ucraine, non riconosciute da Mosca, sostengono infatti che dietro la rivolta nel russofono Sud-est ci sia lo zampino del Cremlino e dei suoi servizi segreti, e oggi in un colloquio telefonico con il suo omologo russo Serghiei Lavrov, il ministro degli Esteri ucraino Andrei Deshizia ha intimato a Mosca di “porre fine urgentemente alle sue azioni provocatorie”.
Lavrov in tutta risposta ha chiesto a Kiev di “non ricorrere alla forza” contro gli insorti. Una richiesta che suona come un avvertimento: il Cremlino si è infatti già da tempo innalzato a difensore dei russi e dei russofoni d’Ucraina e se dovesse essere versato del sangue in un’operazione di polizia, a Mosca potrebbero avere un pretesto per un intervento armato simile a quello già sperimentato in Crimea.
Del resto, Kiev e Occidente denunciano da tempo la presenza di decine di migliaia di militari russi al confine con l’Ucraina. Ma un’accusa ancora più precisa contro Mosca è arrivata in serata dal ministro dell’Interno ucraino, Arsen Avakov, secondo cui i filorussi usano “delle armi di fabbricazione russa AK100, in dotazione solo alle forze armate russe”.
Oltre che nella regione di Donetsk – dove sei giorni fa gli insorti hanno proclamato una ‘Repubblica sovrana’ e hanno fissato per l’11 maggio un referendum autonomista – si registrano disordini anche in altre città dell’Ucraina orientale. A Kharkiv, un’importante città di un milione e mezzo di abitanti a un passo dal confine con la Russia, si sono svolti due cortei contrapposti: uno a favore di Mosca e l’altro a sostegno delle nuove autorità ucraine.
Secondo l’agenzia ufficiale russa Itar-Tass, i filorussi avrebbero inoltre occupato palazzi amministrativi anche a Krasni Liman, Krasnoarmeisk e Druzhkovka. Ma il ministero dell’Interno smentisce in parte questa notizia. Nell’Ucraina orientale la tensione sta insomma salendo precipitosamente, e a gettare ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato il leader del gruppo paramilitare nazionalista ‘Pravi Sektor’, Dmitro Iarosh, che ha definito “fascisti” i filorussi (che a loro volta ritengono “fasciste” tutte le forze uscite vittoriose dalla rivolta di Maidan) e ha annunciato di voler “mobilitare” i militanti del suo movimento armato di destra radicale perché – a suo avviso – le autorità ucraine non stanno reagendo adeguatamente alla rivolta filorussa in atto..