Ucraina, la testimonianza di don Pavlo: “Mariupol è come l’Armageddon. Le strade sono piene di cadaveri”

Mariupol è l’inferno. E’ la drammatica testimonianza di un religioso che è riuscito ad uscire dalla città martire dell’Ucraina con altre persone. A raccogliere le parole di don Pavlo è la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.  Il religioso, padre paolino, è in viaggio da tre giorni con un convoglio di cento auto, ancora non arrivato in un luogo sicuro.

Le parole di don Pavlo

“Mariupol è come Armageddon. È l’inferno. Per favore – ha detto nella telefonata con Acs – , dillo al mondo: è una tragedia. L’intera città è come un grande campo di battaglia. Ovunque cadono bombe. Ovunque si sente solo sparare. Mariupol è una città circondata dall’esercito russo. Le persone sono nascoste nei propri seminterrati. Non riuscivo a dormire, nessuno riusciva a dormire. Avevo allestito un rifugio in un angolo, era lì che vivevo, per così dire. Eravamo tutti spaventati. Il nostro monastero è stato costruito con il vostro aiuto, di Aiuto alla Chiesa che Soffre, e l’edificio non era ancora completo. Sfortunatamente, non avevamo un seminterrato. Negli ultimi giorni inoltre non avevamo elettricità, acqua e niente da mangiare…solo le provviste che avevamo portato con noi. Per due giorni ho avuto solo una scatola di latta: la verità è che quando stai attraversando una cosa del genere, non hai fame. Puoi sopravvivere senza cibo, ma non senza acqua. Le persone hanno lasciato le loro case in cerca di acqua e, di conseguenza, molti di loro sono morti brutalmente”.

“Camminare per strada a Mariupol equivaleva a suicidio”

“Abbiamo detto ai fedeli che dovevano restare a casa e che non avremmo celebrato nessuna messa, perché era troppo pericoloso. Sabato abbiamo formato un convoglio di 100 auto per lasciare la città. I soldati a tutti i posti di blocco ci hanno fatto passare finché i separatisti della cosiddetta Repubblica di Donetsk non ci hanno fermato. Non ci è stato permesso di andare oltre ma ci hanno fatto rifugiare in un paesino. Dopo di che ci sono state altre deviazioni. Avevamo donne incinte e bambini con noi. Non posso dimenticare l’immagine di una donna incinta in ginocchio, che implora i separatisti di farci passare, ma si sono rifiutati. Non puoi immaginare tutte le cose che abbiamo visto là fuori. Sono immagini che non si possono dimenticare: dappertutto tutto distrutto dalle bombe, e a volte dover girare intorno ai corpi sulla strada. Ora siamo fuori città. Tutti hanno cercato di salvarsi la vita e di raggiungere un posto sicuro, ma cosa succede alle persone che non possono e sono ancora a Mariupol? Con molte persone non abbiamo contatti: non abbiamo idea di dove siano e chi sia ancora vivo. Mariupol è una città circondata dall’esercito russo. Caro Dio, quando finirà tutta questa faccenda? Prega per noi”.

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