KIEV – Non solo Kiev brucia in Ucraina, piazza Indipendenza (o Maidan, come la chiamano in Ucraina) è divenuta il campo di battaglia-simbolo di una guerra civile che rischia di spaccare in due il Paese. Da una parte le regioni orientali e meridionali, prevalentemente russofone, dove il presidente Viktor Ianukovich conserva il suo feudo elettorale, e dall’altra quelle centro-occidentali, quelle in cui la maggioranza ha votato per Yulia Tymoshenko alle presidenziali del 2010, la popolazione parla prevalentemente ucraino (e non russo) e l’identità nazionale è più legata all’Europa. Qui si respira un clima simile a quello del 1991, anno dell’indipendenza dell’Ucraina. Tanto da arrivare a chiudere le frontiere con la Polonia e allargare così la faglia tra est e ovest. Qui ci sono strade deserte, banche e farmacie chiuse.
Qui l’opposizione moderata ha incontrato il braccio armato degli ultra-nazionalisti: in almeno nove capoluoghi di regione i manifestanti sono tornati a fare irruzione in diversi edifici pubblici, a occuparli o a darli alle fiamme. Alcune delle città dell’Ucraina occidentale coinvolte nelle proteste sono state Ivano-Frankivsk, Černivci, Luc’k, Užhorod e Leopoli, dove nelle ultime settimane i manifestanti anti-governativi hanno preso di mira soprattutto gli edifici amministrativi locali.
La protesta divampa soprattutto in tutta la regione di Leopoli. Il Comitato Esecutivo del Consiglio regionale di Leopoli, organo esecutivo formato dai dissidenti, ha diffuso un comunicato che annuncia la presa di tutti i poteri legati all’amministrazione regionale: il suo scopo, si legge ancora nel comunicato, è quello di governare e mantenere ordine nella regione, facilitando l’invio di attivisti a Kiev. Invita inoltre tutti i dipendenti pubblici e i cittadini a rispettare le decisioni prese dal presidente del Comitato Esecutivo, Peter Kolodiy.
E mentre la repubblica ex sovietica resta sull’orlo di una sanguinosa guerra civile, Ianukovich prima fa saltare la testa del comandante delle forze armate Volodymyr Zamana per sostituirlo con un uomo di sua fiducia, il generale Iuri Ilin e poi, pur annunciando una presunta tregua, non rinuncia a soffocare la rivolta con la forza. Non lasciano presagire nulla di buono il lancio di misure speciali “antiterrorismo” o l’annuncio del ministero della Difesa di Kiev di un possibile intervento delle forze armate, così come l’invio nella capitale di 500 paracadutisti da Dnipropetrovsk. Intanto i servizi segreti (Sbu) denunciano che più di 1.500 armi da fuoco sono finite “nelle mani di criminali”.
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