KIEV – A Kiev ormai è guerra in piazza. I morti sono decine, forse 40, i manifestanti hanno preso in ostaggio una cinquantina di poliziotti, cecchini sparano dall’alto sui dimostranti, il Parlamento e la sede del Governo sono stati sgomberati, il ministero degli Interni ha invitato tutti i cittadini a restare a casa. E i manifestanti segnano una prima vittoria: il capo dell’amministrazione comunale di Kiev e facente funzione di sindaco, Volodimir Makeienko, si è dimesso dal partito delle Regioni del presidente ucraino Viktor Ianukovich e ha detto di essere “disposto a fare qualunque cosa possibile per fermare il bagno di sangue e il fratricidio nel cuore dell’Ucraina”.
Succede tutto questo in quello che sarebbe dovuto essere il giorno di lutto nazionale indetto dopo i 28 morti del 19 febbraio, a poche ore dalla tregua proclamata dal presidente Viktor Yanukovich.
L’Unione Europea chiede sanzioni. Washington le già ha già varate: niente visto per entrare negli Usa a 20 membri dell’esecutivo ucraino. La Nato avverte: se scende in campo l’esercito rapporti a rischio. L’ambasciatore ucraino a Londra, Volodymyr Khandogiy, è stato convocato al Foreign Office.
Da Mosca il premier russo, Dmitri Medvedev, è netto: “Non collaboreremo con un governo “zerbino” ma con autorità “legittime”, “efficaci” e in grado di difendere “gli interessi dello stato. Bisogna che i nostri partner abbiano autorità, che il potere in Ucraina sia legittimo ed efficace e che non venga calpestato come uno zerbino”.
La giornata di giovedì 20 febbraio è iniziata con gli insorti che hanno costretto gli agenti delle forze speciali ucraine ad arretrare, abbandonando le posizioni conquistate in Maidan, la piazza centrale di Kiev. Tra colpi di arma da fuoco e lancio di molotov, il centro della città è di nuovo in fiamme, mentre i dimostranti occupano negozi e magazzini vuoti.
Mercoledì 19 febbraio alle condanne di Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite si era aggiunto, in serata, l’avvertimento della Nato: “Invito fortemente il governo ucraino ad astenersi da ulteriore violenza. Se i militari interverranno contro l’opposizione, i legami con la Nato saranno seriamente danneggiati”, ha dichiarato il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen.
Mentre le violenze riprendono a Kiev sono attesi i ministri degli esteri francese, tedesco e polacco, oltre a un inviato da Mosca. Il capo della diplomazia dell’Ue, Catherine Ashton, ha convocato per oggi, 20 febbraio, un Consiglio straordinario dei ministri degli Esteri europei e il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha telefonato a Yanukovich parlando di “shock e sgomento” per quello che sta succedendo in Ucraina, e avvertendo che l’Unione europea “è pronta a reagire fermamente a un ulteriore deterioramento della situazione”.
L’Ue vuole imporre sanzioni, ma graduali. Come ha spiegato il premier francese Jean-Marc Ayrault, “è necessario “recuperare il dialogo affinché non ci si avvii lungo una strada senza uscita”. Italia, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Bulgaria, Grecia e Cipro frenano.
Molto più decisa (e lontana), Washington ha intrapreso la via più dura: il Dipartimento di Stato americano ha già varato sanzioni contro venti membri del governo ucraino. Le sanzioni riguardano il blocco dei visti. Ma se questo non bastasse gli Stati Uniti sono pronti ad ulteriori passi, di concerto con Bruxelles.
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