Dalle annessioni ai principati: i trucchi di province e comuni per non sparire

Pubblicato il 17 Agosto 2011 - 09:16 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La manovra rischia di ridisegnare l’assetto geografico dell’Italia: da Stato unitario come siamo dal 1861 rischiamo di tornare ad essere un agglomerato di potentati. Con province che tentano il tutto per tutto per non scomparire, città che si uniscono pur odiandosi e creano nuove realtà locali, addirittura comuni che progettano di trasformarsi in principati. A quel punto mancheranno solo i duelli a singolar tenzone, le guerre tra cavalieri e le guerre di espansione. Poi potremo tornare a chiamarci a buon diritto uno Stato preunitario con retrogusto medioevale.

La sibilla padana Umberto Bossi martedì l’aveva detto da Ponte di Legno, con un ghigno quasi compiaciuto: “E’ arrivata la fine dell’Italia”. Che tradotto in gergo leghista sottendeva: “Ora, e finalmente, potrà essere Padania libera”. Ed effettivamente, se le intenzioni della manovra su province e comuni andranno a buon fine, il vaticinio di Bossi potrebbe realizzarsi. Magari non proprio come lo intende lui, ma comunque con un cambio di assetto geografico per un’Italia che sarà difficile chiamare ancora “Italia”. Al solo annuncio dell’abolizione dei comuni sotto i mille abitanti, tutta una serie di cittadine, sentendo la terra (e soprattutto le poltrone) cigolare sotto i piedi, hanno imbracciato le armi di non si sa bene quale cavillo giuridico e hanno minacciato di trasformarsi (forse grazie a una magia) in principati. Se così sarà verranno proclamati, al posto dei comuni, il principato di Filettino (Frosinone), il principato di Vallepietra (Roma) e quello di Collepardo (Frosinone). E questi solo nel Lazio. Nella provincia di Imperia già esiste il sedicente principato di Seborga, trecento abitanti, che batte e adopera moneta, il luigino, valore sei dollari. In caso, la sua esistenza diventerebbe “ufficiale”.

Poi ci sono i comuni di “quasi” mille abitanti che tentano la salvezza in zona Cesarini.  Come racconta la ‘Stampa’ c’è ad esempio il comune di Paciano (Perugia) che per racimolare quei dodici abitanti che mancano per arrivare a quota mille, ha pensato di dare la cittadinanza agli extracomunitari che passano di lì. Capraia (Livorno), 400 abitanti, sta pensando di farsi annettere dalla Corsica, che è francese, pur di non sparire. C’è poi chi invece è contento dei cambiamenti stabiliti dalla manovra: a Cesi, racconta ‘La Stampa’, sono tutti contenti per l’abolizione della provincia di Terni: il regio decreto del 1927 con cui il Duce elevò Terni al rango di capoluogo conteneva l’ampliamento della città con l’accorpamento di alcuni comuni, compreso quello di Cesi. Se ora la provincia scompare, Cesi torna all’antico lignaggio.

Poi, ancora, ci sono le province sotto i 30mila abitanti, quelle che rischiano di sciogliersi come gelato al sole. Quelle che hanno la fortuna di sorgere in una regione a statuto speciale verranno in qualche modo tutelate. Tutte le altre sono lì a pensare e progettare stratagemmi più o meno cervellotici per tentare la salvezza. Ad esempio Savona e Imperia progettano di violare un paio di Trattati di pace e aggregare la Costa Azzurra, oltre al Cuneese, per coniare la Provincia delle Alpi Marittime. Poi ci sono La Spezia e Massa-Carrara che progettano la creazione della provincia Apuania: in pratica un ente sovraregionale, visto che sarà a cavallo tra Liguria e Toscana. Andando più giù si trova Benevento e le due province molisane, Isernia e Campobasso, che sognano la creazione della province interregionale del Molisannio.

Spesso la corsa per la salvezza si scontra con antiche rivalità. C’è ad esempio Biella che potrebbe fondersi con Vercelli per non scomparire: ma l’odio atavico che c’è tra le due città ha portato i biellesi a un progetto quantomeno singolare. Vorrebbero annettersi a Novara: peccato che le due città non confinano ma sono divise, guarda caso, proprio da Vercelli. Alla fine i biellesi hanno ceduto: hanno proposto a Vercelli di entrare nella provincia tripartita: ma i vercellesi hanno gentilmente rimandato l’offerta al mittente.