TERAMO – “Roberto Bisceglia uccise la convivente Adele Mazza e la fece a pezzi a Teramo nella Pasqua del 2010″. Questa l’accusa con cui Bisceglia, 57 anni, fu condannato all’ergastolo per omicidio volontario della ex convivente e vilipendio di cadavere. Ma la sentenza è stata annullata dalla Corte di Assise dell’Aquila per un vizio di forma.
Una storia di ferocia e femminicidio, soprattutto perché intervenuto a soffocare con il sangue la voglia di libertà di una donna sfruttata per traffici di droga e costretta a prostituirsi per portare denaro in casa, viene cancellato da uno dei cosiddetti ‘cavilli’ segnalato in udienza dal procuratore generale, Romolo Como: nel corso del processo due dei sei giudici popolari si sarebbero assentati in udienze diverse e sostituiti sempre dallo stesso giudice supplente. Processo da rifare dunque.
Bisceglia, appena saputo dell’annullamento della sentenza di primo grado, ha detto al suo avvocato Barbara Castiglione: “Voglio un caffè, ma adesso torno in libertà?”. Per il momento, non essendo in scadenza i termini di custodia cautelare, Bisceglia rimane in carcere a Chieti fino al prossimo autunno, stagione in cui è presumibile che la Corte d’Assise di Teramo, in altra composizione collegiale, tornerà a processarlo per omicidio volontario pluriaggravato e vilipendio di cadavere.
L’uomo attenderà anche che la sua difesa precisi meglio i contorni di alcuni aspetti dell’indagine, a suo dire lacunosi, che aveva indicato nei motivi di appello, compresa l’acquisizione di nuovi tabulati telefonici e la nomina di un nuovo consulente tecnico d’ufficio per stabilire con maggior esattezza la data della morte della donna.
I cinque pezzi del corpo della donna, arti inferiori, arti superiori e tronco, furono rinvenuti casualmente da un cane condotto a passeggio dal suo proprietario il 5 aprile 2010, in via Nicola Franchi, alle porte della città. Se il trasporto con un carrellino dei resti umani, chiusi in buste di supermercato e uno zainetto, dal luogo del delitto alla scarpata, non fosse stato compiuto maldestramente dall’assassino, forse quel corpo non sarebbe mai stato ritrovato. Un corpo sezionato con abilità chirurgica, quasi da mani esperte, di una donna già senza vita perché strangolata con una corda, in una operazione condotta con calma e con molto tempo a disposizione.
Ad incastrare Bisceglia era stato il Dna, estratto da un reperto, un pezzetto di adesivo che doveva servire per assicurare una delle buste di plastica al carrellino. “Non c’era alternativa, avevano commentato l’allora procuratore capo Gabriele Ferretti e il pm che aveva condotto le indagini, Roberta D’Avolio, la sentenza è chiara: piena responsabilità penale dell’imputato, come da noi sostenuto”.
La sentenza era stata accolta con le lacrime dalle sorelle della vittima, che alla pronuncia in aula della parola ergastolo, si erano abbracciate piangendo: ”Siamo soddisfatte, giustizia è fatta – avevano detto Pina e Marilena Mazza – Adesso veramente Adele può riposare in pace”. Quel cavillo ha rimesso tutto in discussione. In autunno si tornerà in aula, a Teramo e loro ritroveranno di fronte colui da cui Adele voleva fuggire.