Alberto Lorusso, confidente di Totò Riina. Boss, spia dei servizi o picciotto?

Alberto Lorusso, l'articolo della Gazzetta del Mezzogiorno
Alberto Lorusso, l’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno

ROMA – Lo hanno definito come uno dei boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso, la “dama di compagnia” di Toto Riina, l’uomo a cui, durante l’ora d’aria, il capo dei capi, ha affidato le sue confidenze, le sue opinioni, i suoi ordini all’esterno, come ha detto il pm Di Matteo.

Ma per molti Alberto Lorusso è un uomo dei servizi, uno della polizia, uno inserito scientemente nel carcere di Opera, a Milano, per raccogliere le confidenze di Riina. E registrare tutto. “Il detenuto 007” ha scritto Panorama che però avanzava molti dubbi: Lorusso uomo dei servizi? Scrive Maurizio Tortorella: “E possibile che a Palermo nessuno si sia accorto di nulla?”

Questa storia, poi, è doppiamente strana – scrive Tortorella – perché, quando il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) devono stilare i “gruppi di socialità”, cioè gli elenchi dei detenuti “pericolosi” che possono avvicinarsi tra loro nelle poche ore di aria concesse mensilmente ai reclusi ristretti al regime carcerario particolarmente duro (il 41 bis), è evidente che il Dap chiede una valutazione preventiva alla Direzione nazionale antimafia e anche alle procure direttamente interessate. In questo caso, quindi, a quella di Palermo.

Non pare propriamente né banale né lecito, del resto, che un qualunque servizio segreto possa autonomamente collocare un suo agente provocatore all’interno di un carcere, avvicinandolo a boss mafiosi di prima importanza.

Ad accostare Lorusso ai servizi fu per primo Andrea Purgatori sull’Huffington Post. Altro che Sacra Corona Unita, gratta gratta, scrive Purgatori, si scoprono altre verità, altre piste: “Il badante è stato attivato perché nelle mani dei magistrati era arrivata voce che si stava preparando qualcosa?

Chi ha ascoltato la registrazione della sua sconcertante conversazione con Riina – si legge nell’articolo di Purgatori – lo descrive come un uomo dalla curiosità ben pilotata. Che lo incalza, lo stuzzica, sapendo perfettamente cosa chiedere e con quale progressione. E sorprendentemente affonda come fosse burro nelle difese di un Capo dei capi che in quasi vent’anni di carcere duro mai si era lasciato sfuggire una virgola. Consapevole di essere marcato ventiquattrore al giorno da occhi e orecchie invisibili, dentro e fuori dalla sua cella da 41bis. E allora perché all’improvviso il Padrino perde il controllo con un presunto mafiosetto pugliese privo di pedigree e affidabilità, che sembra messo al suo fianco per fargli aprire bocca? Possibile che non se ne sia accorto? O lo ha consapevolmente utilizzato come “spalla”, sapendo che in quel modo i messaggi di morte ai magistrati del processo sulla trattativa sarebbero giunti più rapidamente a destinazione?

Alberto Lorusso, l’uomo cimice secondo Antonio Massari e Giuseppe Pipitone in un articolo sul Fatto Quotidiano. Com’è possibile che il capo dei capi, il capo dei corleonesi si confidi con un uomo qualunque, uno dei tanti boss della criminalità organizzata? E poi, scrivono Massari e Pipitone, perché Lorusso arriva a mentire, a dire di aver avuto un solo matrimonio invece che due, pur di accattivarsi le simpatie di Riina?

Quel che sembra certo è che il pugliese ad accattivarsi le simpatie di Riina ci tenga parecchio. Talmente tanto che al capo dei capi racconta di aver avuto figli da un solo matrimonio, particolare imprescindibile secondo le vecchie leggi di Cosa Nostra per essere un buon picciotto, un “bravu cristianu” come direbbe lo stesso Riina. Notizia falsa, perché Lorusso ha avuto due compagne e tre figli, e nelle lettere indirizzate ai familiari, spiega di aver raccontato quella bugia a Riina, raccomandando soprattutto di non svelare come stiano veramente le cose. Perché? I parenti di Lorusso e i familiari di Riina sono per caso entrati in contatto, dato che la primogenita del boss corleonese, Maria Concetta, si è trasferita da alcuni mesi in Puglia a San Pancrazio Salentino? E perché Lorusso racconta quella bugia a Riina, temendo poi che la sua copertura di bravo mafioso possa saltare?

“L’uomo misterioso non nasconde alcun mistero” scrive oggi invece Mimmo Mazza della Gazzetta del Mezzogiorno. Niente Sacra Corona Unita, niente servizi segreti, niente 007, Lorusso è solo uno dei tanti, legato, semplicemente a un clan tarantino, e in carcere, condannato a 10 anni nel nel processo Ellesponto.

Alberto Lorusso faceva parte del clan De Vitis-Ricciardi-D’Oronzo che agli inizi degli anni ’90 si oppose a quello facente capo ai fratelli Modeo, dando vita ad una guerra di mala che tra il 1989 e il 1991 lasciò a terra 160 morti, insanguinando la città dei due mari. Destinatario di uno degli oltre 70 provvedimenti di arresto eseguiti il 20 aprile del 1994 per sgominare quello che restava della mafia tarantina, Lorusso era ritenuto capo zona a Grottaglie, responsabile di tutti i traffici, a iniziare da quelli di stupefacenti, come poi l’operazione Ceramiche, nel 1997, riuscì a dimostrare. Pur rinchiuso in carcere, Lorusso continuava a dettare legge e mandare ordini ai suoi uomini e riceveva, peraltro, aiuti economici dai suoi gregari per la detenzione.

Il suo accostamento alla Sacra Corona Unita, scrive Mazza, è dovuto al fatto che per contestare ai clan tarantini l’associazione mafiosa, spesso la Dda di Lecce utilizzava il paragone con l’organizzazione militare e familiare della Scu.

Servizi segreti? Domande pilotate di Lorusso a Riina? Macché, scrive Mazza, “Lorusso il linguaggio cifrato ce lo ha nel dna…”

“Due anni fa gli è costato pure un ulteriore periodo di 41 bis, il regime carcerario duro. Scrivendo alcune lettere alla sua donna, Lorusso ha usato termini ambigui, metafore, come dire, un po’ troppo alate, quasi un codice che in realtà codice non era, come il suo legale ha cercato, senza fortuna, di spiegare al tribunale di sorveglianza di Roma che ha prorogato il 41 bis”.

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