Alberto Musy, quattro arresti per estorsione. Perquisita la cella di Furchì

Alberto Musy, quattro arresti per estorsione. Perquisita la cella di Furchì
Francesco Furchì seduto al banco degli imputati (Foto Lapresse)

TORINO – Quattro arresti e venti perquisizioni per estorsione, scenari da criminalità organizzata e il mistero dell’arma che uccise il consigliere comunale Udc di Torino, Alberto Musy. Questi gli ingredienti di una nuova indagine che sfiora il presunto killer di Musy, Francesco Furchì, anche lui indagato per concorso in estorsione. Tra i quattro soggetti finiti in manette c’è anche un personaggio di spicco degli ambienti della ‘ndrangheta nel torinese. Si tratta di Vincenzo D’Alcalà, meglio noto in passato come il “reuccio” di Santena e con alle spalle una serie di precedenti per usura, estorsione e lesioni personali. Gli altri tre arrestati nell’inchiesta sono Massimiliano Celico, l’albanese Gjovalin Zojza e Gaetano Laiacona. Al centro dell’inchiesta la vicenda del fallimento di Arenaways, la compagnia ferroviaria fondata da Giuseppe Arena. Un imprenditore che voleva rilevare la società, contattato da Furchi, fu vittima di minacce ed estorsione da parte di D’Alcala, soggetto che la squadra mobile definisce privo di scrupoli ed “estremamente pericoloso”.

Un’indagine che si innesta su quell’attentato del 21 marzo 2012, in un cortile di via Barbaroux, che ridusse il consigliere Musy al coma irreversibile e poi alla morte, sopraggiunta diciannove mesi dopo. Una serie di intercettazioni telefoniche avrebbe portato alla luce un giro di estorsioni maturate in un ambiente che il pm Roberto Furlan, nel chiedere i mandati di cattura, non esita a definire “di stampo mafioso“.

Non a caso è coinvolto Vincenzo D’Alcalà, detto il “Re di Santena”, cittadina a sud-est di Torino ritenuta il centro della criminalità organizzata che opera nella cintura torinese, e che gli investigatori ritengono assai vicino alla ‘ndrangheta. Mentre Francesco Furchì, l’uomo accusato dell’omicidio di Musy, già detenuto in carcere e sotto processo in Corte d’assise, figura tra i 22 indagati a piede libero per concorso in estorsione. La polizia ha perquisito anche la sua cella.

Dalle carte processuali spunta poi il mistero dell’arma, che non è mai stata trovata: gli inquirenti non escludono che Furchì se ne sia liberato consegnandola a un conoscente di D’Alcalà. In una telefonata del 7 marzo 2013, conversando con uno sconosciuto, D’Alcalà che secondo una vittima delle estorsioni voleva dei soldi per pagare l’avvocato di Furchì disse:

“Hai visto che c’ha tutta la roba di Furchì? Nella macchina … Te l’ha portata”.

Per “roba”, scrive il pm, si potrebbe intendere “una parte delle masserizie” di un trasloco; ma “in astratto non si può neppure escludere che si trattasse di ben altra ‘roba’, per esempio la pistola utilizzata nell’omicidio“.

Furchì è indagato per una presunta estorsione di 40 mila euro ai danni di un imprenditore che aveva partecipato al salvataggio della compagnia ferroviaria privata Arenaways. Ci sono indizi ma – sottolineano sia il pm Furlan che il gip Massimo Scarabello – non ci sono prove evidenti: gli autori potrebbero avere agito autonomamente.

 

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