Alzano e Nembro, il film della zona rossa negata: i soldati pronti, non un “generale” diede l’ordine

ROMA – Perché nessuno raccolse l’allarme contagio dopo i casi registrati e comunicati a Nembro e Alzano Lombardo?

Perché al manifestarsi inequivocabile di focolai di contagio nella provincia di Bergamo non fu istituita la zona rossa, come avvenuto solo pochi giorni prima a Codogno?

Ruota intorno a questi tragici interrogativo – viste le conseguenze – il merito dell’inchiesta della Procura di Bergamo, con i pm che hanno annunciato di voler ascoltare anche il primo ministro Conte e i suoi due suoi ministri Lamorgese e Speranza.

Alzano e Nembro, due settimane di inerzia fatale

I riflettori dei magistrati e di chiunque voglia tentare di ricostruire la catena di decisioni e omissioni sono puntati sul periodo compreso tra il 23 febbraio e il 7 marzo, quello della progressione esponenziale dei decessi nella zona.

Marco Imarisio sul Corriere della Sera segnala proprio quelle due date come spartiacque per circoscrivere le responsabilità del mancato intervento.

Mentre imprese e politica, enti locali compresi, continuano a sostenere una Bergamo che corre, che lavora, che non si ferma davanti alla sfida del virus, già il 27 febbraio la Regione Lombardia ha contezza dell’incremento dei contagi.

72 casi nella provincia di Bergamo: lo scrive la Regione alla Protezione civile cui ha inviato i dati. 

Nembro e Alzano sono fra i più colpiti della Lombardia, ma non rientrano nella zona rossa.

28 febbraio: il primario lancia l’allarme. Ignorato

A Bergamo, ricostruisce Imarisio, già il 28 febbraio il primario del reparto di Malattie infettive del Papa Giovanni XXIII di Bergamo Marco Rizzi lancia un segnale che dovrebbe essere definitivo.

“La crescita dell’epidemia è rapidissima, a partire da un focolaio che si è sviluppato dall’ospedale di Alzano. La terapia intensiva e ogni altro reparto sono già saturi. Servono misure di contenimento”.

Il primo marzo decessi e contagi crescono nei due paesi (43 morti a Nembro, 19 a Alzano). 

2 marzo: l’assessore Gallera ancora contro la zona rossa

Ma l’assessore regionale Giulio Gallera, il giorno dopo 2 marzo, si oppone ancora all’istituzione di una zona rossa, esprime “forti dubbi” sulla sua utilità.

Nel frattempo gli ospedali di Bergamo sono sommersi dalla marea Covid, sono finiti dentro un incubo da teatro di guerra, il Giovanni XXIII ridotto a ospedale da campo.

Ad Alzano nel frattempo l’ospedale è diventato il focolaio più contagioso.

23 febbraio: direttore chiude ospedale, Regione lo riapre

Ma perché, quando già il 23 febbraio il direttore sanitario decide di chiudere il nosocomio pressato dai medici, solo poche ore dopo la Regione decide l’immediata riapertura?

Solo il 2 marzo si approccia una interlocuzione Regione Lombardia-Governo per il caso Bergamo.

Dal Comitato tecnico scientifico giunge la prima comunicazione che invita a prendere le misure di contenimento necessarie.

Una comunicazione semplice e chiara: vanno estese le zone rosse anche ad Alzano Lombardo e Nembro “che hanno fatto registrare casi ascrivibili a un’unica catena di trasmissione”.

5 marzo: soldati pronti, ma zona rossa solo il 9

Il 3 marzo ancora niente. Il 5 l’area è già potenzialmente presidiabile: cento carabinieri, cento poliziotti, 80 soldati dell’esercito, 50 finanzieri sono lì, pronti a chiudere le vie d’accesso dell’area contagiata.

Ancora nulla: solo il 9 marzo Alzano e Nembro sono diventate zona rossa.

Ma insieme a tutta la Lombardia, quando il danno ormai è tristemente compiuto. (fonte Corriere della Sera)

 

 

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