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Amanda Knox: “Una detenuta prese il mio diario e…”

di Gianluca Pace |29 Marzo 2016 15:15

Amanda Knox (foto Ansa)

ROMA – A distanza di un anno dalla definitiva assoluzione per l’omicidio di Meredith Kercher, Amanda Knox rilascia un’intervista al Seattle Herald Tribune. Spiega che ancora non riesce a darsi pace per ciò che ha vissuto e aggiunge che sta ancora cercando di “guarire falle ferite”.

Amanda Knox si dice “vittima del sistema giudiziario italiano” e aggiunge di non essersi ancora riuscita a liberare dall’angoscia che questa vicenda le ha lasciato addosso. Poi, tra i vari aneddoti, racconta quello che per lei è stato il peggiore. Un ricordo legato alla prigione. Una compagna di cella, “imbottati di psicofarmaci, seduta sul bordo del letto, prende il mio diario e comincia a strappare una pagina dopo l’altra. Quel diario – conclude Amanda Knox – era la mia libertà”.

Di quella compagna di cella, Amanda dice: “Ha passato quasi tutti il tempo in dormiveglia, si era convinta che stessi scrivendo qualcosa di brutto su di lei, che facessi la spia. Ho provato a ragionare con lei, ma era troppo convinta. Non avevo molto, in prigione, ma avevo quel diario. Era il posto in cui scrivevo quello che volevo ricordare. Era un’estensione di me stessa, come tutto quello che già mi era stato portato via: la mia famiglia, i miei amici, il mio futuro. Quello che ha fatto Bernadette è un po’ l’esperienza che ho vissuto nelle mani del sistema giudiziario. Il mio diario era la mia libertà. Bernadette non era cattiva. Solo, stava sbagliando. È curioso, che tuttora io sia così sensibile a quella sensazione di sopraffazione. Pensavo che a Pasqua, con la mia famiglia che si riunisce a bere e a mangiare, mi sarei sentita felice. Ma a solo un anno da quel periodo in cui la mia libertà è stata negata, forse sto ancora elaborando cosa è successo”.

E ancora: “Nell’anniversario della mia assoluzione definitiva, la prima cosa che mi viene in mente non è il momento in cui guardando sullo schermo del mio pc ho visto le reazioni incredule davanti alla mia assoluzione. Non sono le lacrime dei miei amici e della mia famiglia per la fine della persecuzione, del dolore”.

“Spero, di potermi sentire in pace, che questa ferita guarisca. Noi stessi siamo quello che ci resta – conclude la Knox – e anche quando le parole se ne sono andate, questo peso viscerale ha un significato: il corpo non dimentica mai”.

 

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