Andreotti, processo del secolo. I Lima, il bacio con Riina. E il caso Pecorelli

ROMA – Giulio Andreotti è morto il 6 maggio 2013 a Roma, con lui se ne è andato mezzo secolo di storia politica italiana. L’uomo che è stato 7 volte presidente del consiglio, altrettante ministro e che ha partecipato all’elezione di tutti i presidenti della storia della Repubblica italiana lascia non poche zone d’ombra. Quel lungo processo alla storia d’Italia che lo vide coinvolto, il bacio con Totò Riina, Salvo Lima, tutti elementi che provano i suoi rapporti ravvicinati con la mafia. Andreotti uscì indenne da due grandi processi: uno per mafia (il cosiddetto ‘processo del secolo‘), l’ altro per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Sui quali la parola fine è stata messa dalla Cassazione.

Il 15 ottobre 2004 i Supremi Giudici confermarono in pieno la sentenza d’appello con la quale era stata riconosciuta la prescrizione per il delitto di associazione a delinquere fino alla primavera del 1980 e l’assoluzione per il reato di associazione mafiosa dal 1980 in poi. Un’ombra mai cancellata: la Cassazione valutò la solidità della decisione emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 2 maggio 2003 sulla base delle dichiarazioni di numerosi pentiti.

La pronuncia di secondo grado si discostò dalla prima proprio sulla prescrizione, dato che in primo grado Andreotti fu assolto tout-court, seppure con la formula ”dubitativa” ai sensi del secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale, in quanto la prova fu ritenuta non raggiunta. Secondo le conclusioni cui giunsero i giudici Andreotti:

ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi

Secondo i giudici d’appello, in pratica, era provata la consapevolezza, da parte di Andreotti, dei rapporti che intercorrevano tra il suo luogotenente in Sicilia, Salvo Lima, e Stefano Bontate, il capomafia poi ucciso dai corleonesi di Totò Riina nella guerra di mafia del 1981. E sarebbero provati pure gli incontri che Andreotti in persona ebbe con lo stesso Bontate. A quegli incontri, sostiene di aver assistito il pentito Francesco Marino Mannoia.

Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, ha ricostruito la storia di quegli incontri:

In quegli incontri si discusse il problema del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, considerato un ostacolo dai boss e assassinato il 6 gennaio 1980; una vicenda alla quale i giudici dedicano considerazioni pesanti. Nelle riunioni con i mafiosi, secondo i giudici d’appello, Andreotti «ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, ad ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui ed a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza».

E poi ci fu quel famoso bacio con Totò Riina: a raccontarlo fu un altro pentito, Baldassare Di Maggio. Secondo i giudici però non c’è mai stata alcuna “effusione”, così come non sono stati provati tutti gli altri favori che Andreotti avrebbe garantito alla mafia. Ci fu piuttosto un riscatto al politico, quando contribuì a varare la legislazione antimafia e a far rimpatriare il mafioso Tommaso Buscetta dopo il suo arresto in Brasile. Gli stessi giudici scriveranno di “un progressivo e autentico impegno nella lotta contro la mafia, che ha in definitiva compromesso la incolumità dei suoi amici e perfino messo a repentaglio quella sua e dei suoi familiari”.

L’altro grande processo fu quello per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Il 30 ottobre 2003 le sezioni unite penali della Corte di Cassazione annullarono senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’ Assise di Appello di Perugia il 17 novembre dell’anno precedente, che aveva condannato a 24 anni di reclusione Giulio Andreotti e il boss mafioso Gaetano Badalamenti quali mandanti dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli.  L’annullamento senza rinvio della sentenza sancì, in via definitiva, l’ innocenza del senatore a vita  “per non aver commesso il fatto”.

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