Antonio Floris, detenuto ucciso a bastonate: giallo a Padova

di Edoardo Greco
Pubblicato il 12 Novembre 2015 - 06:15 OLTRE 6 MESI FA
Antonio Floris, detenuto ucciso a bastonate: giallo a Padova

Antonio Floris (Gazzettino)

PADOVA – Giallo a Padova, un delitto misterioso quanto cruento: un detenuto è stato ucciso a bastonate in un un casolare degli attrezzi in campagna, a pochi metri dalla comunità di recupero Oasi gestita dai Padri Mercedari. Si chiamava Antonio Floris, aveva 61 anni e veniva da Desulo (Nuoro). Stava scontando nel carcere Due Palazzi di Padova una condanna a 16 anni per duplice omicidio. Ne aveva già scontati 15, quindi gli restava poco tempo da passare ancora in carcere: il suo sogno era tornarsene in Sardegna, prendersi 100 pecore e finire i suoi anni in mezzo alla natura.

Floris era noto per la sua memoria eccezionale: era capace di recitare la Divina Commedia a memoria, aveva un diario cifrato che fu poi decrittato da un glottologo, conosceva a menadito codici penali e leggi tanto da essere consultato dagli altri detenuti per i quali ormai era “l’avvocato”.

Il suo assassino lo ha sorpreso nel capanno degli attrezzi con una bastonata alla nuca, Floris si è girato e tentato di difendersi con il braccio destro, ma l’assassino gli ha assestato un’altra bastonata così forte che gli ha staccato l’orologio dal polso. Floris è caduto a terra e lì è stato finito con altri colpi inferti alla testa. Poi è stato trascinato fuori dal capanno e sepolto sotto i ceppi di legno in aperta campagna, nelle vicinanze della canaletta di scolo che delimita il confine dell’Oasi dei padri Mercedari. L’omicida con l’acqua della pompa ha provato a lavare le macchie di sangue rimaste a terra nella rimessa. Scrive Enrico Ferro sul Mattino di Padova:

Due religiosi, 25 carcerati in semilibertà e qualche eco che torna da un passato burrascoso. La chiave per risolvere il giallo si nasconde in questa cerchia di persone. È la direzione in cui si stanno muovendo gli uomini della Squadra mobile di Padova. Gli investigatori del vice questore aggiunto Giorgio Di Munno, dopo aver perquisito tutte le stanze del centro di accoglienza di via Righi, stanno interrogando i detenuti che in qualche modo ruotano intorno alla struttura. Il delitto è stato commesso sicuramente dopo le 20.30 di venerdì, dunque stanno analizzando con attenzione tutti gli alibi. Dov’eri venerdì sera? Con chi eri? Quanto sei rimasto? A che ora sei tornato? I 25 detenuti (ma anche i due padri) dovranno rispondere a queste domande una o più volte e chiaramente le tesi saranno poi incrociate con ulteriori riscontri.

Perché se c’è un punto fisso nell’ultima serata di Antonio Floris, è la cena. Dopo aver lavorato come ogni giorno nell’angolo di campagna gestito dalla comunità religiosa dove stava affrontando il programma di reinserimento, ha mangiato insieme a don Giovannino e ad altri ospiti. Intorno alle 20.30 ha salutato tutti ed è uscito in cortile per recuperare la bicicletta e tornare come sempre al carcere Due Palazzi, dove stava scontando sedici anni di galera per due tentati omicidi. Floris era solito parcheggiare la bicicletta in un capanno eretto vicino agli orti: un ripostiglio per gli attrezzi ma anche un luogo in cui, in occasione delle feste, venivano macellati e cotti alla griglia i maialini.

Quando dal carcere hanno comunicato alla direzione del centro di accoglienza il mancato rientro di Floris (all’incirca verso le 23), i due padri e alcuni detenuti sono usciti all’esterno per verificare. Hanno trovato la bicicletta ancora incatenata con lo zainetto e l’orologio a terra. Il selciato era bagnato e nessuno riusciva a capirne il motivo. La mattina successiva, con la luce, sono comparse le macchie di sangue. Alcune più nitide, altre diluite dall’acqua. Gli investigatori della Squadra mobile non stanno trascurando neppure l’ipotesi della vendetta legata al passato criminale di Antonio Floris.

In un primo momento le forze dell’ordine avevano pensato che Floris fosse evaso perché, racconta Marco Aldighieri sul Gazzettino “era già fuggito una volta dal carcere, evadendo nel gennaio 1991 dalla colonia penale all’aperto di Mamone (Nuoro), dove scontava alcune condanne, tra cui una per rapina in banca. La latitanza era durata cinque anni. Lo aveva catturato il 10 gennaio 1996 la Criminalpol. Gli agenti, che lo intercettavano da tempo, avevano fatto irruzione di notte: Floris era armato con una 7,65, sei colpi nel caricatore, ma non aveva tentato alcuna reazione. Scoperta sorprendente erano stati i diari scritti in codice cifrato che l’uomo teneva nei tascapane, e nei quali aveva meticolosamente registrato le sue attività criminali, soprattutto estorsioni e furti”.

Floris passò un secondo periodo di latitanza nel 1999: si diede alla macchia proprio nei giorni in cui il giudice lo condannò a 16 anni per duplice omicidio. I carabinieri lo ritrovarono non lontano dal suo paese d’origine. Ma il suo presente era quello di un detenuto modello, collaboratore del giornale “Ristretti orizzonti” (che ne ha fatto un appassionato ritratto) e benvoluto dai frati dell’Oasi. Riporta il Gazzettino di Padova:

All’interno della struttura infatti c’è anche la sua stanza, la camera dove dormiva quando era in permesso premio e dove passava il tempo tra un lavoretto e l’altro. A fianco dell’impegno in cooperativa per il lavoro esterno che gli era consentito dall’articolo 21, Floris infatti si faceva ben volere dai frati anche dando una mano per mille cose. Compresa la cucina, soprattutto quando dalla sua Sardegna la famiglia gli faceva arrivare qualche specialità. Desulo, il comune da cui arrivava Floris e dove vivono le tre sorelle, è infatti un paese del Gennargentu dove è molto diffusa la pastorizia e dove sono molte le specialità gastronomiche, dai formaggi ai salumi. Come cuoco Floris, che aveva anche un amico e paesano titolare di un noto ristorante tipico a Treviso, si metteva spesso a disposizione di amici, colleghi, compagni, con quella generosità che molti oggi ricordano con tristezza.

La scomparsa di Floris ha colpito anche al di fuori dei cancelli dell’Oasi. I vicini di casa della cooperativa sono rimasti scioccati dalla notizia della sua tragica morte. «Non vediamo molto i detenuti che lavorano qui – racconta un uomo che abita poco distante dall’Oasi – Lui però lo conoscevamo di vista. Aveva anche parlato durante la messa di saluto di padre Eraclio, quando si è trasferito. Parole forti di riconoscenza».