Antonio Papaleo, il giornalista infiltrato nella mafia slovacca

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Luglio 2014 - 12:07 OLTRE 6 MESI FA
Una foto di Antonio Papaleo

Una foto di Antonio Papaleo

ROMA – “Erano le tre del mattino di giovedì scorso, tornavo in moto da una spiaggia di Phuket con un’amica russa. Ci siamo trovati circondati da quattro motorini, uno ci è venuto addosso, ci ha sbalzato a terra; dagli altri due sono smontati in quattro e ci hanno ributtati giù quando cercavamo di rialzarci; poi dall’ultimo motorino è sceso uno alto che mi ha tirato quattro coltellate, ha preso la mia borsa, ha trovato il mio passaporto nella tasca dei miei pantaloni, lo ha guardato bene come se volesse identificarmi. Sono riuscito a fuggire per un centinaio di metri, fino al cancello di un resort, per questo mi sono salvato”: è questo il racconto di Antonio Papaleo, 44 anni, giornalista investigativo giramondo con tappe a Bratislava e Praga dove ha aperto e diretto giornali online e, soprattutto, Hong Kong dove è il testimone chiave in un processo per riciclaggio internazionale di denaro sporco a carico di una gang dell’Europa orientale.
Lo hanno circondato e accoltellato giovedì 3 luglio e adesso Papaleo, intervistato dal Corriere, accusa:
“O sono il più sfortunato dei turisti, oppure dietro quegli otto ragazzi c’è qualcun altro. La polizia li ha presi tutti, meno il capo; dicono di aver cercato solo soldi, di essersi drogati con metanfetamine. Ma io ho visto quello che mi ha colpito, ha guardato con attenzione il mio passaporto, quasi che volesse essere sicuro della mia identità. Ero arrivato a Phuket solo da tre giorni, con un volo da 100 dollari, stavo da amici fidati. Ma quelli che mi cercano potrebbero avermi tracciato su Internet, quando ho usato il computer qui. Non ho prove per questa mia fantasia e poco dopo quegli otto hanno attaccato un’altra turista…. Ma intanto la polizia di qui mi ha spostato dalla corsia comune dell’ospedale, mi ha messo in una stanza e mi protegge”.

Alla Corte distrettuale di Hong Kong, Papaleo ha raccontato di essersi infiltrato nel 2012 in una rete malavitosa con radici in Slovacchia e in Repubblica Ceca, fingendosi alcolizzato, drogato e senza scrupoli:

“Ci ho messo due anni per infiltrarmi nella malavita esteuropea; ho finto di lavorare per loro tre mesi a Hong Kong; dopo averli denunciati sono stato nascosto un anno, poi in Thailandia pensavo di essere al sicuro, forse mi hanno tracciato su Internet, quando usavo il pc”.

E ancora: “Aspetto la fine del processo, ma Juraj Jariabka non è il boss, è solo un intermediario di una banda molto, molto potente, io ho particolari che tengo per me: io so chi erano i veri beneficiari di quei conti che dovevo aprire a Hong Kong. Sono nomi che faranno tremare Repubblica Ceca e Slovacca. E li farò. E poi io sono solo, non ho santi in paradiso, non è facile vendere i miei servizi”