Bambino segregato in casa ad Arzachena, arrivano le condanne Bambino segregato in casa ad Arzachena, arrivano le condanne

Arzachena, bambino segregato in casa: 8 anni ai genitori e alla zia

ROMA – Sono stati condannati a 8 anni di reclusione i genitori e la zia materna del bambino, ora 12enne, segregato e maltrattato nella villetta di famiglia, ad Arzachena, tra il 2018 e il 2019.

Il gip del tribunale di Tempio, Marco Contu, ha riconosciuto una provvisionale di 100mila euro per la vittima e ha revocato la potestà genitoriale.

I pm avevano sollecitano 12 anni per il sequestro e 3 anni per i maltrattamenti, ridotti complessivamente a 10 anni per effetto del rito abbreviato. 

La storia del bambino segregato in casa ad Arzachena

La vicenda era venuta alla luce il primo luglio dello scorso anno.

Il bimbo, lasciato in casa dai genitori che volevano passare una serata ‘in libertà’, era stato lasciato solo con lo smartphone senza scheda in una stanza chiusa della casa.

Il ragazzino era riuscito però a beffare la coppia avvertendo i carabinieri con la chiamata di emergenza che è possibile effettuare anche senza scheda.

I militari avevano trovato il bambino chiuso in nella stanzetta senza luce, con le persiane abbassate, le maniglie delle porte e delle finestre staccate e solo un secchio per esigenze fisiologiche

Anche la zia è stata ritenuta dagli inquirenti una figura di forte personalità in grado di condizionare il comportamento della coppia che teneva segregato il bambino.

Il suo ruolo nella vicenda venuta alla luce lo scorso luglio è emerso non solo dalle intercettazioni e dai racconti della vittima, ma anche da testimoni tra cui gli insegnanti dell’undicenne e anche un religioso.

Nel corso delle indagini sono emersi particolari raccapriccianti sulle condizioni in cui il bambino era costretto a vivere tra privazioni (non aveva alcun giocattolo) e minacce, come quella di “venire rapito dai demoni per essere portato all’inferno”.

Di tutte queste vessazioni riusciva a non fare menzione a scuola e il suo unico ‘rifugio’ era una zia materna con la quale, infatti, aveva chiesto di parlare appena era riuscito a chiamare il 112 dalla sua ‘prigione’.

L’abilità del carabiniere al telefono nel comprendere il dramma del ragazzino ha l’intervento dei carabinieri nella villetta con il conseguente arresto dei genitori, e solo in seguito della zia. (fonti ANSA, AGI)

 

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