ROMA – Atac, si timbra il cartellino sotto casa e si lavora un’ora in meno. E a Malpensa “festeggiano” il primo agosto. Eppure giusto una settimana fa il dg, anzi l’ex dg di Atac, Bruno Rota, aveva denunciato la situazione di un’azienda di trasporti secondo lui ad un passo dal fallimento. Forse anche perché ad alcuni dipendenti della partecipata romana è consentito lavorare un’ora (quando va bene) in meno rispetto agli altri lavoratori “normali”. Senza, ovviamente, ripercussioni sul loro stipendio. Rota si è dimesso ed è tornato nella sua Domodossola, ai vertici della partecipata romana è stato nominato un nuovo cda a tre membri, e i dipendenti Atac continuano a poter timbrare il cartellino sotto casa per poter poi andare a lavorare in un’altra sede, magari dall’altra parte della Città Eterna che di eterno ha anche il traffico.
A raccontare la simpatica abitudine che vige nell’azienda di trasporti più chiacchierata del momento è il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, un’abitudine che non è nemmeno un segreto ma che viene difesa da lavoratori e sindacati: quella appunto di poter timbrare il cartellino in un luogo fisicamente diverso da quello dove si lavorerà. “Gli autisti Atac hanno addirittura la possibilità di poter timbrare in un deposito da una parte della città per poi prendere servizio nella parte opposta”, scrive Fontana. Accade così che a Roma un’autista può timbrare, e iniziare il suo orario di lavoro, in un deposito che magari è vicino alla sua abitazione e poi spostarsi verso il deposito dove effettivamente prenderà servizio. Il tempo dello spostamento sarà a carico dei cittadini e dei contribuenti capitolini, e in una città dal traffico caotico come Roma può accadere che sia un tempo molto, molto lungo.
Un po’ come se ognuno di noi potesse timbrare il cartellino al bar sotto casa per poi infilarsi in macchina e arrivare in ufficio con già una buona dote di minuti ‘lavorati’. Un esperimento interessante sarebbe provare a chiedere un simile trattamento al proprio datore di lavoro e vedere la faccia che farà. Basterebbe questo a far comprendere la differenza tra diritto e privilegio, per non dire abuso.
“Ma le pare possibile che qualcuno, sindacati o politici, possa difendere questo privilegio?”, si domanda il direttore Fontana rispondendo ad un lettore che s’interrogava sulla “pretesa di difendere uno status quo sbagliato ingiusto e dannoso (sia economicamente che come esempio negativo), assolutamente vergognosa per chi la esprime e per chi non la condanna drasticamente, uno dei chiari segni del degrado della civiltà nel nostro Paese”.
Non sembra possibile eppure è così perché, puntualmente, quando si prova ad attaccare questi che definire sprechi è un gentile apostrofo, appaiono immediatamente strenui difensori dei diritti dei lavoratori vessati. Spesso, va detto, accompagnati dal politico di turno che alla prossima tornata elettorale riscuoterà il credito di voti così conquistato.
Nessuno, sindacalista o politico, sembra però mai ricordarsi dei diritti degli utenti e dei cittadini-contribuenti che pagherebbero per un servizio completo e non con lo ‘sconto’. L’ora, o comunque la porzione di tempo ‘mangiata’ nel passaggio dalla macchinetta timbratrice al luogo di lavoro, è infatti un costo che ricade sull’azienda che è fatta di soldi pubblici. Meno ore di lavoro per gli autisti significa o maggiori costi per avere più autisti in servizio o meno autisti per le strade e quindi meno mezzi a disposizione di milioni di cittadini e turisti che ogni giorno affollano le strade di Roma.
Il concetto di dovere viene però spesso confuso e pochi sembrano conoscere il significato del termine abuso, come ci ricordano i lavoratori del settore bagagli degli aeroporti milanesi che oggi hanno deciso di santificare l’agosto con un bello sciopero non annunciato tra Linate e Malpensa. Difendere i diritti dei lavoratori, ergersi contro gli abusi dei datori dei lavori è un dovere e non solo un diritto dei sindacati e dei lavoratori stessi. Difendere i privilegi, specie se immotivati ed odiosi, è corporativismo.