Avvocati, basta ricorsi fuffa: col “filtro” in appello ci rimette il cliente

Pubblicato il 2 Luglio 2012 - 17:21 OLTRE 6 MESI FA

Avvocati, attenti a tirare per le lunghe i processi: il giudice valuterà i vostri ricorsi e – se non supereranno il nuovo filtro di ammissibilità introdotto con il Decreto sviluppo – a pagarne le spese sarà il vostro cliente. Il filtro in appello è la novità voluta dal governo Monti per cercare di arginare le tattiche dilatorie che intasano l’attività dei tribunali. Novità con la quale si ipotizza verranno eliminate dalle 50 alle 110 mila liti l’anno. Un passo avanti nella direzione della ragionevole durata dei processi.

Una novità che potrebbe far radicalmente cambiare le abitudini di imputati, parti in causa e legali: tutti troppo spesso uniti a braccetto nella convinzione che a prolungare la vita di un processo c’è solo da guadagnarci. Prendere ad esempio la cuccagna chiamata prescrizione.

Si spera di dire la parola fine sul ricorso “fuffa”, quello in cui l’avvocato propone di ritornare su questioni già definite o di avventurarsi in supplementi di istruttoria incerti o non pertinenti. Il ricorso dovrà essere “forte”: dovrà proporre di affrontare questioni accennate ma poi tralasciate in primo grado, di cercare nuove vie interpretative, di smontare o rimontare il castello delle prove. Se il ricorso sarà giudicato “debole”, non solo non si arriverà in appello, ma il cliente dell’avvocato che ha fatto ricorso pagherà le spese del supplemento di lavoro per il giudice.

Come funziona il filtro. Il giudice competente valuterà il ricorso in appello, ovvero se l’impugnazione (della sentenza di primo grado) non abbia “una ragionevole probabilità di essere accolta”. Se decide di non accogliere il ricorso in appello, emette un’ordinanza con la quale dichiara l’inammissibilità, corredata da brevi e sintetiche motivazioni. Dopo di che decide su chi pagherà le spese, secondo l’articolo 91 del Codice di procedura civile.

Filtro sì, ma non per tutte le cause. L’articolo 54 del Decreto Sviluppo ha introdotto nel Codice di procedura civile il comma 2 dell’articolo 348-bis: dietro questo incrocio di numeri si trova la tipologia di cause per le quali non si applica il “filtro”. Si tratta soprattutto delle cause matrimoniali o riguardanti lo stato e la capacità delle persone. Un altro tipo di ricorso in appello che passerà “senza filtro” è quello, citiamo testualmente, “avverso l’ordinanza che conclude il procedimento sommario di cognizione previsto dall’articolo 702-bis del Codice di procedura civile”.

Come si fa un ricorso “ammissibile”. Si va in appello se l’avvocato propone questioni non esaminate in primo grado. Va bene anche contestare gli aspetti più discutibili della valutazione delle prove o delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio. Supera il filtro un ricorso in cui si espongono questioni di diritto sull’interpretazione non ancora consolidata di nuove norme.

I ricorsi che verranno bocciati. Quelli in cui ci si perde in disquisizioni teoriche o in cui si ripetono argomenti (di fatto o di diritto) già esposti e valutati in primo grado. Gli altri ricorsi che verranno bocciati dal filtro sono quelli con elenchi inutili di prove da acquisire di incerta rilevanza.